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Contributi per una formazione che forma – parte 4

Formazione che forma: contenuti e metodologie

Formazione che forma: contenuti e metodiIn questo nostro percorso che esplora alcuni aspetti basilari della Formazione che forma, nel primo episodio abbiamo definito la formazione come una necessità, prima ancora che un investimento.

Nel secondo articolo delle serie abbiamo sottolineato come la formazione si debba concentrare su ciò di cui le persone hanno bisogno per ottenere un certo risultato, e non semplicemente su ciò che vogliono.

Nel terzo, invece, abbiamo riconosciuto che si tratta di un processo che coinvolge differenti professionalità specializzate che sono funzionali solo se collaborano assieme e conoscono l’intero processo.

In questa quarta parte dedichiamo alcune considerazioni ai contenuti e alle metodologie.

Una volta riconosciuti contesti e opportunità e stabiliti gli obiettivi della formazione e di cosa i partecipanti hanno bisogno per ottenerli, in funzione di questo si scelgono i contenuti e i metodi. Se tutto il processo a monte si è svolto in modo adeguato e accurato, i professionisti dello specifico settore sono in grado di formulare dei contenuti.

Ma come organizzarli? Che taglio dare? Da dove cominciare e quanto materiale proporre? E che metodo usare per proporli?
Ecco la qualità del Formatore, colui che conosce la sua materia ma sa anche di formazione, di apprendimento, di dinamiche formative e di gruppo.

Pochi giorni fa un ottimo professionista del suo settore ha ridicolizzato un argomento importante, si è perso tutta l’aula e ha fatto perdere ai corsisti la stima nella Formazione sparando 45 slides illeggibili in un’ora, all’insegna di “questo argomento richiederebbe almeno 5 o 6 ore, ma me ne è stata concessa solo una”.

Eppure siamo di fronte a un professionista di qualità che conosce molto bene la sua materia. Per fare il Formatore questo è il punto fondamentale da cui partire, ma del tutto insufficiente.

Spiegare (male, ma anche bene, la differenza finale non è molta…) qualcosa che conosciamo non ci trasforma magicamente in professionisti della Formazione, che richiede molte altre specifiche competenze e nessuna improvvisazione.

Quale poteva essere l’obiettivo di quell’ora? Probabilmente far capire l’importanza dell’argomento e dare qualche linea guida per sapere come affrontarlo, come approfondirlo e come costruire collegamenti (dato che anche i corsisti sono professionisti in un settore affine, anche se con minore esperienza specifica).

Ma tutto ciò non è emerso. Se il programma non può essere altro che una lista sequenziale di argomenti, il contenuto è un insieme rotondo, sfaccettato, complesso e multi-collegato.

La “riproduzione tecnica” o il prosaico “trasferimento” di contenuti, avulsi da chi è in formazione, dai suoi interessi e necessità, non è in grado di costruire competenze di medio-lungo periodo, di riconoscere/mettere in discussione/rinnovare schemi appresi, di aprire alla crescita personale e professionale. Porta al massimo a un poco significante soddisfacimento di curiosità, magari sull’onda di una messa in scena che pretenda di alleviare la fatica dell’apprendere con un qualche “divertimento”; o porta al “formalismo formativo”: se tu fai finta di insegnare e io faccio finta di imparare tutto scorre facilmente, nessuno si impegna né viene messo in difficoltà e il gradimento (come questionario finale comanda) è assicurato.

Come veicolare i contenuti?

Ecco che il contenuto si collega alla metodologia.
Per rispondere entra in scena il metodo, che potremmo collocare a mezzo tra i modelli teorici che fanno da riferimento/cornice (di cui parleremo in un prossimo contributo) e gli strumenti pratici che il Formatore sceglie di impiegare

I metodi sono veramente molto numerosi e potremmo descriverli tramite elenchi di gruppi e sottogruppi. Tanto per dare qualche esempio:

  • metodi classici (varie tipologie di lezione, varie esercitazioni, role play…)
  • centrati sul gruppo (T-Group, gruppo operativo…)
  • centrati su competenze e organizzazione (autocasi, didattica per situazioni, problem based learning, analisi di casi…)
  • centrati sull’individuo (consulenza filosofica, coaching, counceling, mentoring, tutoring…)
  • centrati sulla messa in scena (storytelling, teatro impresa…)
  • centrati sulla tecnologia (e-learning, videogames…)
  • centrati sulla persona (pratiche filosofiche, scrittura di sé, attività educative…).

 

Il metodo

Già abbiamo delineato un sistema di relazioni: anche il metodo deve essere funzionale a ciò di cui i partecipanti hanno bisogno per raggiungere gli obiettivi, in un terreno di compatibilità con persone, organizzazioni e risultati.

In senso assoluto, nessun metodo è migliore di un altro né è migliore quello più “innovativo” rispetto a quello “sorpassato”… Dipende dal processo in cui è inserito e dagli scopi per i quali viene scelto. E dipende da come viene gestito. Abbiamo visto simulazioni avvenieristiche e team building all’ultimo grido, decisamente mal proposti e mal gestiti, far franare un’azione formativa e lezioni frontali, affrettatamente considerate desuete, rimanere con piacere un punto di riferimento per i corsisti anche dopo molti anni…

Ogni metodo è funzionale e significativo, se scelto validamente e gestito con vera competenza. La moda e l’innovazione, di per sé, non sono di alcuna garanzia, né coprono la labilità di un progetto.

Al di là di un’antologia di metodi, dei quali ne abbiamo elencati solo alcuni, per dare l’idea di quanto sia ampia la scelta, è importante ricordare che una metodologia non è di per sé formazione, né contenuto. Né, men che meno, una moda da seguire!

Si tratta di una scelta relativa al come proporre ai fruitori della formazione le esperienze che li porteranno a ri-considerare i loro schemi abituali, ad ampliarli, a confrontarsi col “nuovo” per aprirsi a ulteriori apprendimenti, competenze, abitudini, modi di pensare e di scegliere. E questo vale per attività formative rivolte a un manager di fronte a un’azienda o a un tornitore di fronte a un modernissimo tornio computerizzato. Data questa specifica situazione, qual è il metodo più adatto per ottenere il risultato che interessa a me –formatore- a loro
–fruitori- e alle organizzazioni coinvolte?

Non ha senso proporre coaching o outdoor in ogni situazione e come risposta a ogni richiesta, perché “è di moda” o sembra essere “la panacea di tutti i mali”. Si tratta di un metodo, che deve essere parte del sistema di relazioni che creiamo tenendo in primo piano chi usufruirà della formazione e legandolo a chi la richiede, agli obiettivi, a ciò di cui c’è bisogno, al contesto socioeconomico e aziendale-organizzativo, alle prospettive, a… a…

Io, Formatore che sto progettando un’attività formativa che tenga presente tutto il sistema di cui abbiamo parlato, quale/i metodologia/e considero più adatta/e funzionale/i in questo caso?
Coaching, outdoor, business game non sono “la formazione” a prescindere dal resto. Sono metodi che entrano nel processo formativo e sono scelte che chi gestisce questo processo deve compiere; all’interno del processo, non a priori!

Queste distinzioni non sono né irrilevanti, né scontate.

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