Il reddito di cittadinanza e il lavoro che non c’è
Al Paese serviva una politica contro la povertà, ma così com’è il reddito di cittadinanza non servirà a trovare lavoro.
A meno che non si deroghi sul decreto dignità, utilizzando la flessibilità per far entrare nel mondo del lavoro chi ne è escluso.
Parte oggi 6 marzo 2019 il reddito di cittadinanza, o almeno la prima delle fasi operative della misura che, come si legge sul sito dell’ANPAL, “cambia il mercato del lavoro” e nelle intenzioni del Governo dovrà “favorire, attraverso un sostegno economico e formativo, l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro”.
Come abbiamo sempre sostenuto, il Reddito di Cittadinanza nasce da una esigenza reale del Paese: in Italia la povertà è una emergenza, così come lo sta diventando il lavoro povero. E la disoccupazione resta a livelli preoccupanti, con punte allarmanti tra i giovani e in alcune aree del Paese.
Il Governo decide di mettere assieme politiche contro la povertà e politiche per il lavoro sperando che la precarietà e la disoccupazione si riducano per effetto di un sussidio e di un decreto. Ma non fa i conti con la situazione economica del Paese che necessita di misure per lo sviluppo, unica ricetta da sempre per creare i presupposti per generare nuovo lavoro.
Scommette invece su Quota 100, che in effetti potrebbe creare nuovi inserimenti occupazionali, ma lo fa comunque “a debito”, con l’ulteriore scommessa di un rilancio dei consumi interni, ed in un contesto economico e sociale che porta ad una crescente polarizzazione dei redditi e delle opportunità sia in ambito lavorativo sia nel contesto sociale.
Probabilmente poteva essere lecito sperare in politiche di sistema che comprendessero misure distinte, ripensando nel complesso il rapporto tra crescita, competitività e redistribuzione nell’ottica della sostenibilità. E ripensando alcuni temi che sono strategici in un’economia della conoscenza, a partire dall’investimento sul capitale umano che resta per l’Italia uno dei principali ostacoli per la competitività e la sostenibilità dello sviluppo.
La strada scelta invece è quella della discontinuità nella continuità dei processi: il reddito di cittadinanza è la somma del Reddito di inclusione e dell’Assegno di ricollocazione, ma con l’aggiunta del decreto dignità, che rende difficile percorsi di inclusione efficaci in un mercato del lavoro che segue dinamiche diverse da quelle sperate dal Ministro Luigi Di Maio e dal Professor Pasquale Tridico, ideatore e padre del provvedimento.
Difficile dire quale sarà l’impatto generato dal Reddito di cittadinanza.
In Trentino la sperimentazione del RDC, secondo uno studio di valutazione sull’impatto generato condotto dalla Fondazione Bruno Kessler, non ha prodotto risultati dal punto di vista dell’inserimento occupazionale. Non si hanno notizie di studi analoghi rispetto al RED di Michele Emiliano in Puglia. In quasi tutti i Paesi dell’Unione Europea, escludendo Italia e Grecia, esiste già una misura di redistribuzione dei redditi in favore dei più poveri.
Ora, quindi, per il bene del Paese credo sia necessario sperare che il reddito di cittadinanza funzioni, nonostante lo scetticismo tipico dell’addetto ai lavori. Ma perchè il provvedimento abbia effetto bisogna studiare dei meccanismi di deroga al decreto dignità, finalizzati all’inclusione sociale e pensati per l’inserimento nel mercato del lavoro. Il patto per il lavoro, così come il patto per la formazione hanno senso se accompagnati da regole incentivanti l’assunzione.
Altrimenti l’esito finale, paradossale, sarà che la redistribuzione del reddito attraverso la leva fiscale assorbirà tutte le risorse disponibili, comprese quelle destinate alla crescita, unica vera leva per creare lavoro nuovo.
Diego Castagno
Presidente Federformazione