Nelle due parti precedenti abbiamo definito la Formazione come una necessità, che non può lavorare solo sull’area esplicita e nota di una persona, limitandosi ad apportare ulteriori informazioni di aggiornamento, ma che deve lavorare in quelle aree che sono meno scoperte e conosciute: abitudini, modalità di pensiero e apprendimento, esperienze con la loro struttura e utilizzo, valori e convinzioni incoraggianti o limitanti, tanto per fare alcuni esempi.
Si tratta di un lavoro di tipo esplorativo, relazionale e comunicativo, non di un’introspezione psicologica. E si tratta di una modalità che travalica, si unisce e valorizza l’argomento, il contenuto della formazione, anche quello più tecnologicamente avanzato.
Formazione: un processo
Fin troppo spesso la parola “formazione” evoca uno scenario d’aula, nel quale un docente sta trasmettendo (e spesso viene preferito il termine “erogando”) una serie di informazioni e conoscenze a un gruppo di partecipanti. Si tende infatti ad applicare il termine “formatore” a colui che gestisce la fase di “erogazione”, che sottintende il modello “pompa di carburante”, dove il docente-serbatoio pieno travasa qualcosa ai formandi-serbatoio vuoto.
Prima di tutto la Formazione è un processo, che comprende molte attività differenti: contatti con aziende, persone e realtà interessate a usufruire di interventi formativi, consulenza e rilievo dei bisogni, raccolta di documentazioni, stesura di progetti, scelta di metodologie e strumenti, organizzazione delle azioni, monitoraggi e verifiche, rendicontazioni e restituzioni, attività di aggiornamento e formazione degli addetti e tutto questo come minimo.
Queste attività sono sostenute in genere da differenti professionalità, che dovrebbero essere collegate e tutte convergenti verso un unico fine: arricchire di risorse chi chiede e usufruisce della formazione, per ottenere quei risultati e quelle ricadute che rispondono a obiettivi correttamente definiti.
I formatori
Ecco perché sono formatori tutti coloro che si occupano del processo formativo, dalla scelta dei bandi per un finanziamento (se ci sono), al progetto, ai contatti con committenti e fruitori, alla raccolta e analisi dei bisogni, alla progettazione, alla messa in opera, ai monitoraggi intermedi e finali, alla restituzione, follow up ecc.
Tutto il processo è formazione e le difficoltà semmai stanno nell’eccessiva specializzazione e parcellizzazione delle figure coinvolte, che alla fine portano alla perdita di competenze, esperienze e conoscenze oltre che alla perdita di qualità e di gestione del processo stesso. Il quale, se non converge verso questo fine, non può essere chiamato formazione, indipendentemente dal nome con cui vuole definirsi.
Magari ogni professionalità, legata a una parte del processo formativo, è esperta e si impegna, ma rimane prigioniera di una sorta di autoreferenzialità che valorizza la sua parte a scapito delle altre; cosa che, alla fine di questo giro, svalorizza la Formazione nel suo complesso.
Questo ci rende conto del perché la formazione sia spesso soggetta a mode (rinnovarsi e accogliere il nuovo è indispensabile, ma seguire una moda è questione ben differente che nulla ha a che fare con l’innovazione e la Formazione) ed è troppo spesso considerata con poca stima e poca importanza.
La maggior parte dei professionisti della formazione è molto ben preparata tramite percorsi universitari, specializzazioni e Master: in aula però è concentrata solo sul contenuto e sulla propria modalità di presentazione; nelle sedi e negli uffici è concentrata sulle procedure e sulle relazioni interne con colleghi e collaboratori per una maggiore valorizzazione e garanzia del proprio “prodotto”, indipendentemente da chi ne sia destinatario e quali ne saranno utilizzi e ricadute.
Legittimo, ma… e la formazione?
Troppo spesso abbiamo incontrato Formatori (in aula o negli uffici o legati persino a ricerche in Università) che non avevano alcun tipo di interesse e di attenzione al di fuori del loro estremamente specialistico e strettamente ritagliato ambito di competenza. Utenti e committenti non si permettevano di intervenire, perché l’importanza del nome e l’atteggiamento li frenavano o intimidivano o tacitavano.
Come se l’esperto, per essere tale, fosse destinato a non farti capire niente…
Pensare, scegliere, progettare, formare con una modalità di pensiero sistemico significa tenere conto di tutte queste interrelazioni e della loro complessità. Quindi per esempio non solo il mio punto di vista, ma anche quello dei clienti, dei corsisti, dell’azienda; non una descrizione scarna e meccanica della situazione attuale, ma uno scenario ricco e proiettato anche nel futuro; non tanto un nome e una moda, ma un’effettiva ricaduta in competenze, crescita, benessere e apertura mentale dei fruitori; non una separazione tra progettisti da una parte e docenti dall’altra, o tra docenti e partecipanti. L’intero processo formativo è sempre tenuto in essere da tutti, poiché ciascuno di questi tutti, con i propri individuali contributi, partecipa a costruire il processo e il risultato complessivi, così come si realizzano e come ce li ritroviamo a fine lavoro. E con gli stessi criteri va poi misurato.
Condizione necessaria, ma appena sufficiente, è che tutto il processo formativo sia almeno punteggiato da una serie di incontri collaborativi, altrimenti la parcellizzazione vincerà sulla qualità. Quindi sulla formazione.
Nel nostro caso specifico, noi due in larga parte dei casi presidiamo e svolgiamo direttamente tutte le varie fasi, e questo negli anni ci ha dato veramente tanto: esperienze che abbiamo integrato e che ci hanno dato una ricchezza superiore alle nostre aspettative e uno stile riconoscibile che è solo nostro.