Contributi per una formazione che forma: parte 2
Nella prima parte di questi contributi abbiamo definito la Formazione come una necessità, un’operazione di aggiornamento, apprendimento e riflessione che non possiamo fare da soli, sfruttando qualche veloce ritaglio di tempo.
Un’operazione che si deve confrontare con le nostre abitudini e i nostri schemi consolidati, altrimenti lascerà le cose più o meno come le ha trovate, solo con un senso di inutilità e inadeguatezza accresciuto. O con una forma di “dipendenza” da un guru che ci ha promesso il successo, rapido e senza sforzo. Come se il successo fosse qualcosa che esiste di per sé, senza le persone che si impegnano per ottenerlo.
Formazione: Professionista e Persona
In questa seconda parte esploriamo, dal punto di vista della formazione, alcuni legami tra area personale e area professionale, che nelle attività formative sono sempre in azione contemporaneamente e come tali devono essere tenute presenti.
Proprio lo sviluppo tecnologico ha creato e crea un gap tra la facilità d’uso di uno strumento e la cultura della persona che lo adopera. È facile imparare a premere la sequenza di pulsanti utili a far funzionare un macchinario, ancor più facile accedere al mondo intero in pochi click. Ma chi è la persona che si serve di questi pochi e facili click? È in grado di gestire ciò con cui entra in contatto? Occorre quindi lavorare con le persone, perché siano formate e non solo addestrate. A volte poi, come perverse scatole cinesi, elementi formativi come la riflessione, la comunicazione e lo sviluppo della persona a fini professionali (ma sempre sviluppo della persona) vengono a loro volta trasformati in una serie di tecnologie, che confondono lo strumento col processo, il mezzo con quel complesso di esperienze, modalità di pensiero, apprendimenti, relazioni ed emozioni che costituisce l’essere umano. E, una volta inserite in slides, filmati e programmi e-learning, vengono chiamate “formazione”.
Le aree personali
Nelle nostre relazioni con noi stessi e con gli altri, tutti noi abbiamo un’area facilmente condivisa: ciò che noi sappiamo di noi e che anche gli altri sanno. Quanto sia vasta, dipende da noi e da quanto siamo disponibili/interessati a mettere in comune in ogni specifico contesto. Abbiamo anche un’area della privacy, in cui noi sappiamo di noi ma ci guardiamo bene dal far sapere ad altri.
Se la Formazione si limita a lavorare all’interno della prima area, finisce per dare esempi e prescrizioni da seguire; magari utili e interessanti, ma… se bastasse un decalogo perché tutti lo mettano in pratica, i Dieci Comandamenti avrebbero cambiato il mondo da qualche secolo… Se la Formazione entra nella seconda area, svolge un compito che non è il suo (quello psicologico o psicoterapeutico) e che –se si tratta di formazione aziendale e professionale- mai ha il mandato di svolgere.
Abbiamo poi altre due aree: l’area cieca, in cui gli altri sanno di noi qualcosa che noi non sappiamo, come le piccole abitudini, schemi e comportamenti per noi ormai divenuti inconsapevoli, segnali deboli che possiamo scoprire solo accettando feedback esterni e l’area del tutto ignota, che potremo scoprire solo vivendo, grazie a nuove esperienze su strade personali e professionali ancora non percorse. E che qualcuno, per non uscire dalla confort zone, cerca di non percorrere mai.
Una Formazione che forma deve tenere conto di queste due aree, che entrano in gioco anche se stiamo imparando o ci è stato imposto di imparare un nuovo software per l’amministrazione, o delle nuove tecniche di vendita e di catalogazione dei clienti, il funzionamento di un nuovo macchinario produttivo o se stiamo in qualche modo affrontando una ristrutturazione aziendale, un cambio di lavoro, una ricollocazione dopo un periodo di inattività.
Chi sono io col nuovo software, macchinario, azienda, lavoro? Mi sento adeguato? Quali esperienze mi supportano o mi limitano? Di cosa sono convinto? Cosa è importante per me? Come mi relaziono con la novità? (Quella che richiede un cambiamento nel modo di pensare e di operare, non l’ultima tendenza moda o tecnologia…)
A chi si deve rivolgere la formazione
Partendo da questo quadro, la Formazione che forma deve rivolgersi a ciò di cui ho bisogno, più che a cosa voglio. Voglio gestire meglio i clienti, o voglio che il mio venditore gestisca meglio i clienti? Voglio sentirmi più motivato verso il lavoro, o voglio che i miei manager siano più coinvolgenti e motivatori verso tutta la struttura? Voglio che gli addetti al magazzino conoscano e seguano scrupolosamente le norme sulla sicurezza? La risposta quasi mai è un corso di vendita, o di comunicazione e gestione del personale, o sulla sicurezza.
Di cosa ho bisogno, o hanno bisogno i miei collaboratori, se l’obiettivo è sicurezza, motivazione, fidelizzazione?
Io venditore vorrei essere “là col cliente” a fare e a comportarmi come il formatore mi ha spiegato e prescritto, ma il fatto è che resto sempre “qui” incerto, abitudinario e confortevolmente ingessato. Dirmi, o sentirmi dire “sii come là!” non mi aiuta, anzi! Di cosa ho bisogno –nelle conoscenze, nelle tecniche, nel modo di operare, di pensare, di gestire le mie relazioni e le mie esperienze- per poter compiere il passaggio da “qui” a “là”? Ecco un elemento che ci aiuta a definire che siamo in presenza di una Formazione che forma.
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