I cambiamenti intervenuti nelle tecniche, nei metodi di produzione, nei luoghi di lavoro e nel sempre più vasto mondo dei servizi, complice anche la grande innovazione dovuta alle tecnologie digitali, hanno notevolmente aumentato la discrezionalità di coloro che operano nelle organizzazioni.
Oggi numerosi processi nei settori del management, dello sviluppo organizzativo e della leadership stanno subendo per varie ragioni un cambiamento profondo. Negli ultimi decenni le organizzazioni, grandi e anche piccole, hanno assunto una complessità sempre maggiore in funzione di cambiamenti interni strutturali ma soprattutto di mutamenti del contesto esterno. Questa crescente complessità ha prodotto una serie di problemi sconosciuti alle organizzazioni tradizionali del passato.
L’autonomia decisionale
Specialmente nei settori tecnologicamente più avanzati, il personale è oggi composto da esperti molto qualificati il cui compito è quello di prendere autonomamente quelle decisioni tecniche che i manager non sono sempre qualificati a prendere. I dipendenti non possono più essere considerati “lavoratori” impegnati in compiti che devono essere supervisionati e controllati. I collaboratori “autonomi” e coloro che a vario titolo forniscono servizi “operativi” (ma sempre più specializzati e importanti per l’azienda), non possono più essere considerati semplici fornitori in outsourcing, in quanto sono anch’essi particolarmente coinvolti nella funzionalità e nel destino dell’azienda.
Anche i requisiti e le abilità richiesti per un esercizio efficace del management e della leadership sono, conseguentemente, divenuti più elaborati e più complessi.
Per essere efficaci, responsabili e manager non possono limitarsi a prendere decisioni e a promulgare ordini sulla sola base della posizione che rivestono nell’organigramma. Devono soprattutto procurarsi la cooperazione, l’engagement e il committement dei collaboratori. Insomma devono contare sempre più sulla facilitazione, il coinvolgimento, la motivazione e la negoziazione e sempre meno sul comando e sulla comunicazione di direttive.
Nella misura in cui la discrezionalità dei collaboratori aumenta, l’attenzione del manager si sposta dalla gestione del tempo, dei compiti e delle situazioni a quella delle relazioni e dei sistemi. In pratica, quando parliamo di leadership e di management, l’accento si va sempre più spostando dal contenuto al processo.
Queste considerazioni sono molto conosciute nella teoria e poco agite nella pratica quotidiana. Per questo, già di per sé ci offrono un’area di sviluppo della formazione, alla quale è richiesto lo stesso passaggio dal contenuto al processo.
La formazione deve precedere proattivamente lo sviluppo culturale ed essere in grado di convogliare e direzionare l’apprendimento, la crescita e lo sviluppo organizzativo e professionale. Non deve arrivare “dopo”, non deve seguire mode, per quanto eclatanti e conclamate, non deve credere in interventi magici rapidi e risolutori. Ma soprattutto non deve essere relegata all’angolino del S.O.S. per chiamarla in azione a meccanismo già inceppato e non deve essere sbandierata a parole e misconosciuta nel suo effettivo ambito e valore.
Data l’importanza, dedicheremo a questo altri articoli e contributi.
La crescente globalizzazione delle attività economiche, nella quale il mercato può arrivare a essere il mondo, richiede quindi un concetto molto diverso di apprendimento manageriale e organizzativo: un rispettoso lavoro di integrazione dei presupposti culturali, dei modelli comportamentali e dei valori di chi contribuisce al lavoro e di chi ne è destinatario.
Occorre allineamento tra lo spazio professionale e percettivo degli attori principali con le sfide quotidiane o eccezionali da affrontare. Occorre allineamento tra ciò che il compito implica e gli obiettivi da raggiungere. E ancora, occorre allineamento nella comunicazione fra tutti coloro che sono coinvolti, così come fra la persona e il ruolo che svolge. E da ultimo, a reggere tutto questo edificio, occorre allineamento all’interno della singola persona, tra le sue parti professionali, familiari, amicali, sociali… altrimenti anche l’edificio meglio costruito, cadrà!
Allineamento, vale a dire la capacità di trovare collegamenti favorevoli e non quella di vivere perennemente sballottati con la sfibrante scelta tra opposti e contraddizioni, che sottraggono e impoveriscono il pensiero e la vita tanto degli individui che delle organizzazioni, quando invece si può arricchire e rendere più soddisfacente. E questa è anche una descrizione di come costruire cultura aziendale.
La cultura aziendale
La costruzione della cultura consiste nel condurre le persone in aziende dotate di senso. Ciò si può fare se le persone dell’organizzazione sono in grado di rispondere a questioni come Cosa fa questa azienda? Qual è il mio posto in essa? Come verrà valutato e giudicato? Che cosa ci si attende da me? Per quali ragioni dovrei dare il mio impegno?.
La cultura è il prodotto del contributo di tutti i membri (anche di quelli che credono di potersi chiamare fuori) di un’azienda, un’organizzazione, un sistema sociale, è da essi condivisa e rappresenta le relazioni che questa azienda o organizzazione intrattiene con sistemi più ampi.
Individuare questo percorso da parte di un’organizzazione significa avere coinvolgimento e impegno da parte dei suoi membri, avere il senso della sua esistenza e della sua operatività ed essere in grado di riconoscere, affrontare e gestire validamente le sfide che si presentano, rendendole un’occasione di crescita e non il punto di abbandono e caduta.
Il contributo che viene dalla relazione con sistemi più ampi va colto e integrato nella propria visione e nella propria missione. Si tratta di un aspetto particolarmente importante, perché è da qui che nascono la direzionalità e il senso. È questo che fornisce la bussola per navigare con il mare calmo o con la tempesta.
Definirsi come “La nostra missione è essere un’organizzazione di professionisti orientata a sostenere i suoi membri e a offrire loro…” significa al massimo formulare un’identità (chi e cos’è l’azienda). Missione e visione non sono mai autoreferenziate, ma definiscono sempre il ruolo dell’organizzazione in riferimento a qualcosa di esterno che la oltrepassa. È l’essere al servizio di qualcosa che va oltre l’azienda ciò che dà lo scopo a un’organizzazione dotata di senso.
La vision
Qual è la visione più ampia che l’organizzazione sta perseguendo?
Qual è la missione che l’organizzazione si è data in rapporto alla visione e alla comunità di cui intende servire i bisogni?
Quali sono il percorso e la strategia che l’organizzazione intende seguire per adempiere alla propria missione?
Qual è la struttura che l’organizzazione si è data o intende darsi in termini di compiti fondamentali e di relazioni necessarie per implementare la propria strategia?
In questo quadro, il manager è sfidato a lavorare con le persone più sulle condizioni di presenza di valori e di condivisione che sull’imposizione. La sua capacità di dare forma a visioni condivise può favorire la nascita e la crescita di una migliore qualità del pensiero all’interno dell’azienda. Ciò che certamente non può fare è lasciarsi prendere dalla fretta, dalla sola gestione del quotidiano, rimandando sine die la riflessione su questi aspetti e la loro definizione, nella convinzione che, alla fin fine, siano poco importanti e siano solo parole che contano molto meno dei fatti.
Il “migliore pensiero” si traduce poi in “azienda solida e funzionale”, “progetti di largo respiro”, “collaboratori attivi e in crescita”, “prodotto/servizio competitivo e apprezzato”, “risultati soddisfacenti”, “capacità di affrontare le situazioni e il mercato”.
Non esistono ricette né miracolosi elisir di lunga vita: la via che abbiamo è questa e apre spazi che, se la percorriamo, ci sorprenderanno.