Siamo al quarto articolo del ciclo che parte dal dibattito sui social riguardante il Quiet Quitting: la nuova tendenza della Gen Z a mettere la qualità della propria vita prima di ogni cosa, senza rinunciare al lavoro, quindi senza andarsene dalle aziende, ma facendo il minimo indispensabile per mantenerlo.
Trovate qui il primo: Formazione, motivazione e lavoro: “creare l’equilibrio”
Il secondo: Formazione, motivazione e lavoro: “prepararsi”.
E il terzo: Formazione, motivazione e lavoro: “chi motiva chi?”
Aprire e chiudere le finestre
Quante volte abbiamo sentito dire che i problemi familiari andrebbero lasciati fuori dalla porta dell’ufficio?
La questione non è riuscirci o non riuscirci.
In ogni momento della nostra giornata noi siamo persone intere, con tutte le nostre parti. Siamo contemporaneamente cittadini, figli, lavoratori, amici, consumatori, familiari, colleghi e molto altro.
Avrebbe senso chiederci di lasciare fuori dalla porta dell’ufficio la nostra parte “cittadino italiano” o “cliente del parrucchiere”?
Ciò che dobbiamo imparare è scegliere quale parte mettere in campo in quello specifico contesto e in quella specifica finestra temporale, darle l’attenzione necessaria e concentrarci sulle attività a questa connesse.
Stop alla necessità di fare la spesa, mentre sono in ufficio, e sì alla concentrazione sulle mail a cui devo rispondere.
Stop al pensiero che domani ho 10 clienti da contattare e sì alla concentrazione sulla cena da preparare, perché sono a casa e ho invitato degli amici.
Stop alla salute di un genitore e sì alla concentrazione su quanto mi richiede un collega o il capo.
Stop a come smaltire gli arretrati atterrati proprio sulla mia scrivania e sì alla concentrazione sulla scuola dei figli.
Questa capacità di aprire e chiudere finestre fa parte delle competenze a cui la Formazione deve pensare e delle istanze alle quali dare risposta.
Si tratta di saper prendere e saper lasciare, ben diverso dal diffuso dilemma “prendere o lasciare”: il dilemma non è mai una buona soluzione perché ci costringe a perdere metà di qualcosa, che appartenga alla nostra vita personale o a quella professionale.
Perdiamo le risorse contenute nella parte che lasciamo, così quella che prendiamo risulta impoverita.
Sostanzialmente dobbiamo imparare a gestire le varie situazioni della nostra vita; dobbiamo essere noi che guidiamo e non lasciarci prendere all’amo e trascinare dagli eventi esterni.
Se no ci resterà solo la fuga, di volta in volta in direzione inversa a ciò che in quel momento ci pesa troppo.
Fuga dal lavoro verso le ferie.
Riposo necessario, utile ma non per tutti davvero rigenerante: quante volte, sulla spiaggia più bella, di fronte a un mare splendido, sentiamo continuamente parlare di questioni di lavoro?
Fuggiamo da qualcosa che però teniamo sempre con noi nella mente… Zoppichiamo invece di camminare con scioltezza.
Mi rilasso e mi concentro: un passo di danza completo.
Manager all’altezza
Il fenomeno del Quiet Quitting appartiene ai giovani, ma le difficoltà da cui origina appartengono anche ad altre fasce d’età e di lavoratori.
Kpmg e Ipsos hanno svolto recentemente una ricerca su “Il futuro del lavoro”: 1,9 milioni di dimissioni volontarie in Italia non sono certo un indicatore trascurabile e il numero di dimissioni è più alto nella fascia d’età tra i 45 e i 25 anni.
I lavori, anche ad alto livello di professionalizzazione, non sembrano più in grado di coinvolgere e appassionare. Si fa fatica a far aggregare le persone e a farle partecipare.
Sembra che chi lavora stia rivedendo le proprie priorità e aspettative e soprattutto si ponga domande sul senso di ciò che fa.
Crolla il senso di appartenenza.
Mentre il mercato del lavoro manda segnali di dinamismo, così non è per le persone; quando si dimettono l’azienda ha sempre più difficoltà a trovare sostituti, i livelli di skill mismatch crescono invece di diminuire.
Si crea troppo spesso un effetto a catena su chi resta o di smarrimento dei punti di riferimento.
Le stesse ricerche ci dicono che solo il 9% dei manager sono percepiti come adeguati alla situazione e che occorrono innovazione manageriale e nuovi modelli di leadership in cui il benessere organizzativo e la qualità dei manager -in termini di ascolto, dialogo e sintonia che devono stare allo stesso livello delle competenze tecniche, se non più in alto- siano finalmente davvero coltivate.
Allineamento e Formazione
La flessibilità non ha nulla a che vedere con l’essere facilmente influenzabili o servilmente disponibili, ma piuttosto con personalità ricche che sanno riconoscere in ogni situazione benefici e svantaggi per sé e per gli altri, che sanno attuare comportamenti diversi in base ai contesti, svincolate da convinzioni preconcette.
Non perdiamo certo il nostro modo di essere e la nostra personalità se in contesti differenti adottiamo linguaggi diversi, abbigliamenti diversi, stili di relazione diversi, né se nel corso degli anni e a seguito di esperienze particolarmente significative abbiamo modificato il nostro modo di vedere il mondo.
Ogni nostra esperienza è scomponibile a diversi livelli profondamente correlati, che partono dal contesto per passare attraverso comportamenti, abilità, convinzioni, valori fino al senso della propria identità.
O impariamo ad allineare ciò che facciamo con ciò di cui siamo convinti e ciò che è importante per noi, collegandoli a chi noi siamo, oppure avremo sempre mancanza di senso, smarrimento, scarsa motivazione, scarsi risultati e scarsissima soddisfazione.
Nessuna tecnologia ci può rendere i significati perduti e la forza che deriva da un rapporto equilibrato tra la persona e il suo lavoro. Ma se costruiamo questo equilibrio, tecniche e tecnologie saranno tra le nostre risorse.
Possiamo considerare la motivazione e la direzionalità, che a volte sono definite anche come “carisma” o “centratura”, come effetto della congruenza che allinea i diversi livelli logici che abbiamo elencato: questo ci offre il senso di ciò che facciamo, siano pure le azioni più elementari e ripetitive.
Questo allineamento si può studiare, imparare e praticare. Fa parte anche della Formazione Formatori.
Allora è necessario che la Formazione decida di lavorare all’interno di questa cornice e contribuisca così a invertire questi trend al ribasso; se non cambia, continuerà a proporre attività fantastiche e innovative che però serviranno solo a perpetuare il problema.