Siamo al secondo articolo del ciclo che parte dal dibattito sui social riguardante il Quiet Quitting: la nuova tendenza della Gen Z a mettere la qualità della propria vita prima di ogni cosa, senza rinunciare al lavoro, quindi senza andarsene dalle aziende, ma facendo il minimo indispensabile per mantenerlo.
Trovate qui il primo: “Formazione, motivazione e lavoro: creare l’equilibrio”
Cosa significa essere preparati?
Stiamo vivendo un periodo nel quale è più evidente l’impreparazione di fronte agli eventi che ci coinvolgono a livello mondiale: non siamo poi così “moderni”, “tecnologici” e “sicuri” come finora ci eravamo illusi di essere.
Basti pensare alle “3 C.”: il Covid ha scoperto la debolezza di una società fragile, di presidi sanitari inadeguati e meno “scientifici” di quanto vorremmo; il clima ci obbliga a mettere in discussione e riprogettare il progresso; i conflitti toccano valori, sicurezza e relazioni.
I limiti non tanto delle previsioni in sé, quanto delle modalità con cui si prevede e delle cornici di pensiero che sostengono queste modalità sono sempre più evidenti.
È nato per questo il termine “preparedness”, una sorta di atteggiamento attivo a essere preparati in senso lato, una preparazione sociale all’imprevedibile.
Impara a vedere le connessioni inattese e aspettati l’inaspettato.
E, per questo, più che mai il pensiero deve essere complesso, articolato e sfaccettato, deve comprendere globale e locale, collettivo e individuale, sociale e personale. Insomma uno scenario ampio e ricco!
Scenari insufficienti e scenari ampi
La qualità di vita e l’equilibrio tra la sfera professionale, quella personale e quella intima sono aspetti fondamentali per ogni persona e contemporaneamente sono aspetti generali, economici e sociali.
Le frasi con cui si traccia un profilo del Quiet Quitting ce lo fanno comprendere con facilità: “lavorare il minimo indispensabile senza però rinunciare allo stipendio fisso”; ”stare seduti davanti a un pc non rappresenta più un’utilità per i giovani, disposti a far spazio alle loro necessità”; “la tendenza ad avere risultati accettabili con il minimo sforzo”; “migliorare le sorti dell’azienda per la quale si lavora non è più importante e soprattutto non rappresenta più la priorità”; “ci si distacca lentamente dalle proprie responsabilità per riprendersi la vita e il tempo perduto, mantenendo però un minimo di stipendio”.
Intanto i lavoratori non sono solo dipendenti attaccati a un pc!
E per tutti i numerosissimi altri, di cui abbiamo bisogno per la nostra sopravvivenza, quale sarebbe la proposta?
Il medico che si stacca dalle proprie responsabilità, il contadino che coltiva il minimo, per riprendersi il tempo perduto, il pilota dell’aereo su cui viaggiamo che impiega solo la minima attenzione indispensabile…
Può non essere importante migliorare le sorti dell’azienda in cui lavoriamo, ma se le sorti peggiorano anche lo stipendio fisso scompare…
E chi si impegna “al minimo” per una parte della sua giornata, come esce da questa abitudine astenica per…catapultarsi nella vita vera?
Forse l’altra era falsa e non sua?
La soluzione di passare dall’area dove tutto è sempre pressante, urgente e importante all’area dove tutto è evasione, minimo impegno, rintanamento nella propria individualità può anche tentarci, magari in un momento difficile, ma a uno sguardo più attento e meno illusorio si mostra per quello che è: una scelta che deprime lo sviluppo di tutti.
Certo il modello della persona che si identifica esclusivamente col lavoro h24, che vive in perenne competizione non è né interessante, né equo, né evolutivo.
E lo stesso vale per il modello opposto.
L’equilibrio connota una vita ampia e piena, che segue un modello inclusivo, sistemico e olistico (…e…e…e…) invece di un modello che parcellizza, oppone e limita (…o…o…o…) e che, in definitiva, impoverisce chi lo segue puntando verso uno qualunque dei due estremi.
La motivazione
Di motivazione è intessuta ogni nostra attività, dalla più importante alla più scontata.
Non sempre ci rendiamo conto di questa compagna che ci spinge e ci trascina più o meno fortemente verso qualcosa o lontano da altro; forse perché è sempre con noi, a volte ce ne dimentichiamo o ci sembra di averla perduta.
E poi non è mai una sola, ma quasi un intero mazzo di carte, col quale dobbiamo imparare a fare più giochi e ogni volta a giocare la carta più utile.
La motivazione è la nostra bussola, che ci mantiene in rotta e ci aiuta a trovare la strada o a stabilire la direzione quando non ci sentiamo sicuri ed è collegata con:
● Le emozioni, la gestione degli stati emotivi e delle ancore emotive.
● La definizione degli obiettivi, il valore che vi attribuiamo, la loro compatibilità, congruenza e priorità nelle aree della nostra vita.
● Le aspettative sul risultato che pensiamo/prevediamo di ottenere; su queste aspettative giocano un ruolo determinante le convinzioni e l’autostima.
● Il rapporto con e tra comportamenti, abilità, convinzioni, valori, ruoli
● Le modalità abituali e routinarie con cui operiamo scelte e prendiamo decisioni.
● La mancanza di efficacia (modalità con cui operiamo e decidiamo) a volte viene scambiata o assimilata alla mancanza di motivazione (intenzione, scelta, interesse, importanza, passione…).
Se non te la vedi con la tua motivazione, il resto è inutile.
E se la Formazione non se la vede con questi aspetti, si limiterà a passare qualche contenuto e a sperare che questo funzioni.