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23 Mar

Formazione e azienda: previsione e conoscenza

Formazione e azienda: previsione e conoscenza

Si conclude il ciclo di articoli relativo a un’area fondamentale per la Formazione: come ipotizzare, conoscere e anticipare il futuro.

Trovate facilmente i primi tre, precedentemente pubblicati qui:

1. FORMAZIONE E AZIENDA: Scenari futuri e non riproduzioni passate.
2. FORMAZIONE E AZIENDA: Dati oggettivi e situazioni complesse.
3. FORMAZIONE E AZIENDA: Soft skill e futuro.

Possedere tutti i dati e quali

«Quando hanno raccolto tutti i dati possibili sugli spostamenti delle anatre e sul tipo di tiro da effettuare, le anatre sono già volate via». Lee Iacocca, presidente della Chrysler, non amava i manager ossessionati dalla raccolta dei dati e dalle continue analisi e verifiche…

Come abbiamo avuto modo di osservare, i dati sono e restano importanti, tutto dipende dai criteri con cui vengono raccolti e analizzati. Non solo la nostra raccolta non sarà mai esaustiva, col rischio di lasciarci scappare le anatre, mentre siamo impegnati a eseguirla, ma potrebbe risultare fuorviante, se non sono chiari e accuratamente scelti i presupposti e i criteri con cui li raccogliamo.

C’è sempre un’illazione, a fronte delle nostre ricerche, in base alla quale presumiamo che i dati che stiamo raccogliendo siano portatori del significato che noi stiamo loro attribuendo e dimostrino ciò che stiamo cercando.

L’aumento del fatturato del 15% è un dato che possiamo definire “oggettivo”, così come il numero di ore lavorate settimanalmente da un determinato operatore.

Ma, una volta in possesso di questi numeri, che significato attribuiamo?

Non automaticamente che l’azienda in esame è in crescita o che l’operatore svolge pienamente il suo lavoro: saremmo banalmente superficiali e vi è fin troppo facile comprendere che gli elementi in gioco sono molti di più e molto più sottili.

Allora quanti tipi differenti di dati devo raccogliere per poter affermare che l’azienda è in crescita o che l’operatore svolge pienamente il suo lavoro? La risposta a questa domanda entra già in un campo che sta fuori dalle misurazioni “oggettive” -perché comunque sono io che scelgo- e dalla convinzione di arrivare a possedere tutti i dati.

In pratica siamo sempre dentro un circolo ricorsivo: noi abbiamo una risposta e operiamo una scelta che avviene a posteriori dei dati raccolti e dipende da essi, ma siamo noi che scegliamo quali dati raccogliere e quale significato attribuire loro in base ai collegamenti che facciamo.

E se non ne siamo consapevoli?

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C’è un errore -o più d’uno- nei procedimenti che abbiamo seguito nel raccogliere e nell’affidarci ai nostri dati? È un errore lasciarsi scappare le anatre?

L’errore dipende dall’obiettivo… Se è quello di cenare con anatra arrosto, non l’abbiamo raggiunto e non lo possiamo raggiungere.

Se preferiamo di gran lunga una cena vegetariana…abbiamo compiuto una mossa assai utile…

L’errore sostanzialmente è un’informazione.

Sovrastimare l’errore è considerarlo una mancanza, una carenza, un passo falso che pregiudica un progetto, una carriera, uno sviluppo, la scelta di un’opportunità, qualcosa da punire (che poi la punizione finisce per toccare il sintomo, non certo il processo che ha portato a quel certo risultato non voluto).

Come dire che il futuro è una linea dritta e prevedibile, fatta di passi certi e codificati che devo compiere in modo predefinito. Persino l’apertura di un barattolo di sottaceti sarebbe in grado di riservarci più imprevisti e sorprese di questo “futuro”!

Sottostimare l’errore significa buttarselo rapidamente alle spalle, disinvestire dai nostri compiti e dai nostri ruoli, non sentirci responsabili e non prenderci in carico qualcosa, che sia professionale o personale, accontentarci della superficie, farci guidare dalla fretta e dalla novità a tutti i costi, in definitiva invalidare e sprecare la storia perché non siamo capaci/non vogliamo imparare da essa.

Le “previsioni” che spesso ci vengono propinate tendono a compierli entrambi: molti errori provengono dalla difficoltà a decodificare gli impliciti di una situazione.

Eccoci tornati agli impliciti sottesi alla raccolta dei nostri dati…!

Specializzazione o parcellizzazione

Molti dei progressi compiuti negli ultimi cento anni sono il frutto della specializzazione, di cui la tecnologia è uno degli esempi più evidenti, più importanti e di maggior successo.

Abbiamo raggiunto però una sovrabbondanza di saperi separati, dispersi e parziali, la cui dispersione e parzialità sono a loro volta fonte di errore e di mancanza di sviluppo.

Ci stiamo concentrando troppo sui saperi quantitativi e privilegiando troppo la formazione professionale specializzata.

Che servono, intendiamoci! Servono moltissimo! Ma sono povere e disutili se chi le propone e le pratica sa come fare qualcosa che non sa cos’è, dove si colloca e che legami ha col resto. Ecco la principale causa di stress: non so io a cosa servo…

Il pensiero complesso è il pensiero che riconosce e vuole superare la confusione, la complicazione e la difficoltà di pensare, con l’aiuto di un pensiero sistemico organizzatore: separatore, analitico e contemporaneamente legante e collegante, unificatore e non oppositore, consapevole dei suoi presupposti e dei suoi modelli di riferimento, pronto ad ampliarli.

Qualunque tipo di progetto formativo deve uscire dalle secche degli schemi preconfezionati, delle strade acquisite e codificate, del dare risposte preordinate a domande mal poste o non poste affatto, dello scambiare l’informazione per apprendimento, del cercare o fornire soluzioni banali senza l’impegno e la compartecipazione dei destinatari, dell’allinearsi a titoli che non valgono più della carta su cui sono scritti, del considerare solo un piccolo mondo individuale chiuso e senza relazioni molteplici, per entrare nel mondo della conoscenza, della crescita e della…formazione!

Per lo meno se vuole definirsi tale, fare riferimento a una formazione che forma e a una formazione sostenibile.

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