Formazione e azienda: Soft skill e futuro
Prosegue il nuovo ciclo di articoli in esplorazione di un’area fondamentale per la Formazione: come ipotizzare, conoscere e anticipare il futuro.
Trovate facilmente i primi due, precedentemente pubblicati qui:
1. Formazione e azienda: Scenari futuri e non riproduzioni passate
2. Formazione e azienda: Dati oggettivi e situazioni complesse.
Le soft skill: troppi fraintendimenti
«Le soft skill sono quelle qualità che determinano fortemente l’ambiente di lavoro e sono sempre più richieste. Impossibile dire quali competenze trasversali siano più importanti di altre, ma un certo insieme di competenze trasversali è utile in ogni lavoro.»
Ecco un primo nodo: pare che le soft skill siano qualcosa di sfuggente, di astratto e di molto “personale”.
Come se creare un programma per un cliente fosse l’elemento di base e interagire col cliente per capire cosa gli serve davvero in quel programma fosse superfluo, anche se gradito.
Come se conoscere le normative sulla gestione del personale e i metodi di incentivazione avesse senso senza capacità relazionali e motivazionali col personale in questione, che è composto da persone vive…
Come se salutare con un sorriso il cliente che è entrato in negozio o che è arrivato alla cassa non fosse dovuto dato che non è registrato sul contratto di lavoro.
Come se laurearmi e conoscere l’anatomia e la patologia facessero di me un bravo medico, anche se con “visita” intendo guardare lo schermo del mio pc e non guardare in faccia o auscultare il paziente che ho di fronte.
«Le abilità e le competenze tecniche in genere si possono dimostrare o verificare e svolgono un ruolo preminente nel processo di candidatura per un lavoro.»
Ecco un secondo nodo: preminente? E chi l’ha stabilito? In base a quali criteri? E perché, se questo sistema è insufficiente, lo dobbiamo usare lo stesso?
Ciò si giustifica con l’idea che all’eventuale mancanza di competenze tecniche si può facilmente supplire con la capacità di acquisire velocemente nuove conoscenze.
Certo, a patto che le nostre soft skill ce lo permettano.
Se le mie capacità di apprendimento sono farraginose, se manco di flessibilità, se nel mio modello del mondo ci sono convinzioni limitanti rispetto a queste competenze tecniche e a me (…io non sarò mai in grado di imparare a usare nuovi software così complicati…) i termini “acquisire” e “velocemente” sono pura fantascienza.
«Mentre le hard skills sono relativamente facili da dimostrare (ma sappiamo bene che non sempre un titolo o un certificato ne assicurano il possesso, poiché garantiscono solo che un certo percorso è stato fatto. ndr), le soft skill di solito non possono essere provate con certificazioni, qualifiche e prove di lavoro, se non indirettamente.»
Ecco un terzo nodo: certo, se per certificarle usiamo metodi propri di altre tipologie di skill, non saremo mai in grado di misurarle.
Ma, se accettiamo di pensare entro altri schemi, diventa possibile.
La difficoltà sta nel fatto che non possiamo generalizzare e standardizzare, creando griglie univoche a prescindere, spesso più rassicuranti che utili: dobbiamo partire sempre dallo specifico contesto e basarci sull’osservazione, creando ogni volta un’apposita struttura in cui l’unica stabilità è quella dei criteri di fondo cui ci ispiriamo.
Queste “misurazioni” non saranno mai oggettive, esattamente come non lo sono voti, punteggi, titoli e schede per le hard skill: ricordate Einstein, quando afferma che ogni osservatore fa parte del sistema osservato?
Ci sta dicendo che “l’oggettività” è una leggenda metropolitana…
Possiamo però avere una ragionevole certezza, se le osservazioni vengono fatte a tutto tondo, dal sistema di riferimento nel suo complesso, da un “paniere” di osservatori diversificati. Questo “coro polifonico e plurivisione” offre una tale qualità nelle descrizioni/valutazioni che nessuna pretesa oggettività potrà mai darci.
Le soft skill: non sono un prodotto da quantificare meccanicamente
Troppe volte vediamo che le soft skill, tanto richieste e tanto apprezzate, vengono “ingegnerizzate”: si trasformano in competenze “tecniche” specifiche per motivare, comunicare, relazionarsi…poi si crea una bella sequenza meccanico lineare, la si trasforma in un “prodotto” che viene “erogato” a chi sia interessato e desideroso di apprenderle.
Così posso apprendere abilità e competenze relazionali stando chiuso da solo nel mio studio e usando il mio pc che mi fornisce prescrizioni su come comportarmi, cosa dire e fare, mi presenta schemi e domande a risposta multipla.
Poi quando esco dalla mia tana e mi trovo ad aver a che fare con persone in carne e ossa…beh, forse non sono stato un allievo abbastanza diligente o forse il guru che mi sono scelto è inarrivabile per me…o il “prodotto soft skill” va migliorato…
Abbiamo molti quadri che definiscono gli standard professionali: sicuramente utili come punti di riferimento, ma non esaustivi.
I lavori si evolvono rapidamente, molto più di questi inquadramenti. Siamo sicuri che incasellare un ruolo, per indicare competenze attese (quelle incasellate nello standard, non quelle necessarie all’azienda, però!
Perché queste non sono codificate, dato che sono specifiche per quell’azienda…) sia effettivamente utile?
Anche qui o cambiamo gli schemi entro i quali pensiamo e lavoriamo, o non ne verremo a capo.
Grave per tutti, ma ben più grave per un Formatore che dovrebbe guidare gli altri…
Le soft skill, la Formazione e il futuro
Due saldatori con gli stessi strumenti non producono mai gli stessi risultati.
Se materiali e strumenti sono identici, le accortezze di ciascuno sono diverse e anche il loro modo di essere, di imparare e fare esperienza, di resistere alla fatica e agli imprevisti.
Inoltre la Formazione, quella che forma, non può considerare hard e soft skill come due campi da tenere separati: le competenze tecniche hard devono convivere e collegarsi con le competenze soffici, come i binari e la locomotiva; inutile spreco l’una senza gli altri… E i rispettivi “specialisti” devono lavorare assieme.
E poi sono le soft skill che danno qualità alle hard skill possedute e che ci sostengono nel costruirci quelle “antenne” con le quali cogliamo i segnali deboli e costruiamo scenari ampi futuri, necessari per darci una direzione attualmente: se vogliamo inserirci nei processi di apprendimento individuale e collettivo, essere visionari, se vogliamo svolgere una funzione di guida e non vivere e lavorare alla perenne rincorsa di mode, scadenze e avvenimenti, confusi nella generalità e persi nel dettaglio.
Altrimenti possiamo definirci Formatori?