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Formazione e azienda: prevedere il futuro o no?

Formazione e azienda: prevedere il futuro o no?

Formazione e azienda: prevedere il futuro o no?Scenari futuri e non riproduzioni passate

Diamo il via a un nuovo ciclo di articoli, che vanno in esplorazione di un’area fondamentale per la Formazione: il futuro, col nostro desiderio di conoscerlo e anticiparlo, desiderio che ci accompagna spesso e ancor più in un momento incerto e non facile come l’attuale.

In questo primo articolo chiariamo le relazioni tra passato, presente e futuro.

Approfondire questi temi è parte integrante delle soft skill.

Passato, presente e futuro: relazioni più chiare

Prendiamo alcune foto della nostra azienda: una attuale, una di 5 anni fa, una ancora precedente. Lo stesso possiamo fare con una foto personale. Siamo sempre noi, è sempre la nostra azienda, ma i cambiamenti che possiamo osservare sono molti…e sono simili a quelli che noteremmo osservando le foto ancora non scattate di un nostro futuro prossimo o lontano.

Ogni persona, Organizzazione, Azienda ha una storia, un passato che contribuisce a definire i significati degli eventi presenti come a loro volta questi ultimi definiscono il passato.

Troppo spesso la visione che abbiamo evidenzia connessioni causali, secondo le quali eventi e relazioni passate hanno un diretto effetto sulle relazioni presenti e pongono vincoli sul futuro; invece è lontana da questo modo di pensare l’influenza che il presente può avere sul passato.

Molti di noi, infatti, credono che sia solo il passato a incidere sul presente e che il contrario non sia possibile; ci basta invece pensare quanti episodi del passato hanno ora cambiato significato per noi: ricordate solo come consideravate il vostro primo giorno di lavoro in quel momento e come lo considerate adesso che è passato da un po’… Siamo in presenza di un anello autoriflessivo in cui passato e presente si influenzano reciprocamente.

A volte tendiamo a dare giudizi su eventi passati servendoci di criteri presenti; ci infastidiscono Bogart che fuma continuamente, Dante che usa termini dispregiativi verso il mondo arabo, Pavese che impiega il termine “negro”, il Principe Azzurro che appare antifemminista.

La nostra sensibilità attuale è diversa e più acuta, ma un conto è la rielaborazione, data l’impossibilità di “ricordare” fatti “grezzi” del passato senza che questi siano in qualche modo filtrati dal nostro stile di pensiero personale e attuale, un altro conto è usare il presente per decontestualizzare e bollare il passato e per riscriverlo adattandolo a ciò che consideriamo “etico” attualmente e che, magari, non sarà tale fra 50 anni…

L’anello autoriflessivo funziona in forma più complessa se si prende in considerazione anche il futuro, che riceve significato da passato e presente e a sua volta li influenza: un po’ come preparare le valigie (ora) in base a ciò che faremo in ferie (poi). Le aspettative, i progetti, le strategie contribuiscono a dare significato alle azioni presenti, che a loro volta influenzano l’elaborazione della memoria sul passato. Molte nostre scelte attuali ci portano ad attribuire ad alcuni eventi del passato un significato diverso da quello che attribuivamo nel momento in cui accaddero e soprattutto sono influenzate dalle nostre previsioni per il futuro (ben più che dal passato…) che in questo modo contribuiscono a costruirlo!

Scenario futuro e non riproduzione del passato

Il modo in cui le persone si rappresentano passato e futuro e organizzano gli eventi nel “tempo” ha un impatto sui loro pensieri, le loro emozioni e i loro progetti personali, professionali, aziendali: pensiamo anche solo ai cosiddetti “giovani senza futuro” o a chi vive “imprigionato nel passato”.

Le statistiche ci forniscono una grande quantità di dati sul passato e sul presente. I dati assumono senso nel momento in cui noi li accogliamo e li elaboriamo; senza la nostra elaborazione e un obiettivo d’uso, non sarebbero particolarmente significativi. Anche il calo del fatturato o il turn over possono essere indicatori di un funzionamento dell’azienda e di una sua relazione col mercato che vanno ben oltre la cifra in sé e che ci dicono molto, molto di più del solo calcolo economico: dipende da come li leggiamo e a quale scopo li usiamo.
Non possiamo ipotizzare il futuro, proiettandovi n. volte una foto del presente, che resta una riproduzione atemporale del presente e non una visione del futuro. Possiamo invece crearci degli scenari.

Uno scenario è una possibile struttura futura, non una previsione. Esso consente a un’organizzazione di tenersi lontana da previsioni troppo puntuali del futuro, pericolose perché escludono molte ipotesi e possibilità plausibili, concentrandosi su una sola, ritenuta quella “vera” o accettando un limitato range di possibilità come “sicurezza” solo perché abbastanza probabile.

Profezia autoavverantesi: come uscirne

Spesso nella previsione cerchiamo quel senso di “sicurezza” che il futuro, incerto per definizione, non ci può dare e finiamo per muoverci come se guidassimo perennemente guardando solo nello specchietto retrovisore.

Ci aspettiamo che i dati del presente non siano solo una base grazie alla quale orientarci, ma una descrizione del fatto che anche nel futuro essi continueranno a svilupparsi o a involversi nello stesso modo.

Vale a dire che li riteniamo predittivi.

Ed è proprio la “previsione” che finisce per incanalare la nostra attenzione e le nostre energie verso un futuro predetto, previsto e preconfezionato, creando la classica profezia autoavverantesi.

Questa “previsione” ci influenza talmente da portarci a scegliere principalmente quello che collima con essa: in pratica siamo noi che stiamo costruendo il futuro secondo quell’unica ipotesi. Per concludere alla fine con il fatidico “lo sapevo/te l’avevo detto che sarebbe andata così!”

La complessità delle attuali situazioni potrebbe anche farci pensare che ci si debba arrendere all’imprevedibilità del futuro che ci attende.

Per uscirne dobbiamo rivedere alla base tutti gli approcci tradizionali che oggi si stanno rivelando fallaci e ingannevoli: estrapolazioni basate sul passato; modelli econometrici troppo complessi e contemporaneamente troppo sequenziali; interpretazioni lineari con scarsi collegamenti dei dati raccolti. E poi raccolti come?

Solo così potremo passare dall’esercizio della previsione, basato sulle probabilità di un modello lineare-sequenziale-meccanico, alla capacità di presagire, basata sulla costruzione di opportunità futuribili ricche, complesse e sistemiche; infatti il ruolo degli scenari non è esattamente quello di predire il futuro, ma di creare le ragionevoli premesse di una sua possibile realizzazione.

Per uscirne, quindi, dobbiamo creare scenari. Gli scenari si focalizzano meno sulla predizione degli esiti e maggiormente sulla comprensione delle forze in campo che potrebbero determinare un risultato. Si rifanno a un modello sistemico maggiormente in grado di spiegare la complessità.

Non sappiamo quali e quanti dei nostri scenari si concretizzeranno, ma scenari di qualità possono incoraggiare -sia ciascuno di noi nella propria vita, sia i responsabili in azienda, sia chi si occupa di Formazione- a rendere esplicite le nostre/loro ipotesi implicite riguardo al futuro; a pensare superando i limiti dei luoghi comuni consolidati e a sondare cogliendo implicazioni non così ovvie e scoperte.

Cogliere segnali deboli anche nel futuro!

In questo la Formazione deve essere guida.

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