Flessicurezza, il filo rosso che dovrebbe congiungere le politiche del lavoro in Italia: flessibilità accompagnata a sicurezza del reddito, se non del lavoro. In altri termini: sostegno al reddito in caso di disoccupazione e aiuto all’occupabilità attraverso la formazione continua.
Mentre sul piano del sostegno passivo, esistono strumenti, perfettibili, ma presenti, le politiche attive del lavoro stentano a decollare.
Le cause principali: la frammentazione in micro-progetti locali, con una logica di “intervento” e non di “programma”, l’assoluta mancanza di criteri di valutazione d’impatto e monitoraggio dei risultati e conseguente condivisione delle “best practice”.
Risultato: realtà disomogenee, a macchia di leopardo, ove convivono progetti innovativi e di qualità con pratiche di scarsa efficacia e respiro, senza una regia di fondo e tutte livellate a causa della disomogeneità, quando non assenza di valutazioni comparative.
Questa la sintesi puntuale di una situazione che chiunque viva le politiche attive del lavoro, come soggetto o beneficiario, ha potuto sperimentare.
In questo contesto abbiamo creato Bemymentor, società che si occupa di innovazione della formazione, con l’obiettivo di rendere il mondo del lavoro più accessibile, equo e soddisfacente, sviluppando progetti di sostegno all’impiego e re-impiego che abbiano un flusso controllabile e un impatto misurabile.
La nostra prima innovazione è che siamo partiti dai fruitori di politiche attive per capire quali siano le loro principali difficoltà: frammentazione dei servizi, relazione prettamente burocratica con i centri per l’impiego, solitudine nell’orientarsi alla ricerca, disomogeneità nella qualità dei servizi.
Fin qui niente di nuovo: quel che emerge di diverso è la crescente consapevolezza che il lavoro è cambiato. I giovani che hanno concluso i loro studi secondari e universitari lamentano l’insufficiente preparazione della scuola al mondo del lavoro, alle competenze trasversali. Gli adulti, specie oltre i 45 anni, affrontano ostacoli legati all’obsolescenza delle loro competenze “hard” e al basso livello di digitalizzazione.
Come colmare il gap di competenze e fornire un accompagnamento one-to-one, di media lunga durata nella ricerca del lavoro, considerato che 7 mesi è il dato medio per la ricollocazione dopo perdita di impiego? Come progettare interventi che siano programmatici, scalabili su un ampio numero di individui e monitorabili nei loro risultati?
La nostra soluzione risiede nel riproporre, aggiornato ad un mondo del lavoro 4.0, uno dei “mestieri” più antichi del mondo: il mentore.
Ma chi è il mentore contemporaneo?
È una persona esperta che si prende l’incarico di accompagnare una meno esperta in una fase di sviluppo personale e professionale, aiutandolo a massimizzare il suo potenziale, a sviluppare le skills e migliorare la sua performance, perché possa diventare la persona che vuole essere. (Eric Parlsoe – 2000)
Il mentoring è oggi un rapporto formale tra due individui, il Mentor e il Mentee, ove ciascuno ha un suo ruolo preciso, responsabilità definite e azioni da intraprendere in tempi pre-definiti. Non è un’amicizia, è una relazione di stampo professionale in cui una persona possa confrontarsi sulle proprie aspirazioni, su dubbi e ostacoli allo sviluppo per costruire un proprio percorso.
Se applichiamo questo concetto al mondo del lavoro, possiamo immediatamente comprenderne il potenziale. Prendiamo ad esempio Mattia, 21 anni, diplomato all’Istituto Tecnico Commerciale. Piccoli lavori precari; oggi, disoccupato da un anno, rimbalza tra uffici e agenzie del lavoro, Informagiovani, uffici dell’orientamento, siti internet specializzati nella ricerca di lavoro…
Immaginiamo che invece abbia a sua disposizione una persona esperta, formata ad essere un mentore, che sappia riconoscerne i talenti e interpretare eventuali bisogni formativi, che lo aiuti a costruirsi una solida mappa per la ricerca del lavoro. Immaginiamo che Mattia acceda semplicemente ad una piattaforma online dotata di intelligenza artificiale e di sistemi di comunicazione integrata: attraverso di essa può trovare il suo mentore, comunicare con facilità, definire gli obiettivi personali e professionali e le azioni da intraprendere per raggiungerli. Infine, monitorare i suoi progressi, condividere ostacoli e dubbi con il mentore per trovare soluzioni efficaci.
La piattaforma ha quindi una funzione di facilitazione della relazione tra Mentor e Mentee e di strutturazione del percorso di ricerca di impiego: è il luogo virtuale in cui Mattia e il suo mentore si incontrano quando non sia possibile farlo di persona (in modo da non perdere appuntamenti e garantire la continuità della relazione); è un planner virtuale, condiviso con il mentore, ove Mattia può segnarsi obiettivi, azioni, tempi, difficoltà incontrate, soluzioni implementate, appuntamenti…tutti gli elementi del percorso costruiti insieme. Infine, Mattia e il suo mentore possono monitorare l’andamento e misurare l’efficacia della loro relazione grazie agli analytics automaticamente prodotti dal sistema.
Per concludere: immaginiamo di mettere a sistema tutti gli attori, dai centri per l’impiego alle agenzie per il lavoro e l’orientamento fino alle organizzazioni che formalmente o informalmente sono coinvolti in politiche attive del lavoro, di formare in questo ambito mentori e di dotare un numero crescente di “Mattia” di un Mentore e di un accesso alla piattaforma fino a creare un programma a larga scala.
La piattaforma si basa su economie di scala: maggior numero di persone, minor costo a persona, per una delle soluzioni considerate con il miglior rapporto costi-benefici nei paesi anglosassoni, dove viene largamente usata nella progettazione sociale.
I vantaggi?
• Per le persone in cerca di impiego: approccio personalizzato, one-to-one, strutturato e attivo: la persona è chiamata da subito a mettere in gioco competenze individuali di organizzazione, problem solving, comunicazione e relazione. Miglioramento dell’employability, delle soft skills e aumento delle possibilità occupazionali.
• Per il sistema: possibilità di monitorare in maniera aggregata i percorsi e apporre miglioramenti in corsa, valutare l’impatto generato. Possibilità di testare il sistema in piccolo e scalare in grande con costi contenuti, formando risorse esistenti.
• Per la società: minor disoccupazione di lunga durata e decremento relativi costi.
Alcuni hanno la fortuna di trovare un mentore in famiglia, a scuola, più raramente sul lavoro: noi vogliamo che avere un mentore non sia più un caso, ma sia una risorsa cui ciascuno ha diritto in un momento di transizione cruciale. La piattaforma è il fattore abilitante di questa possibilità.
E per chiudere con una nota positiva, i primi test in settori limitrofi ci stanno dando risultati molto incoraggianti.
Liana Astrologo
Co-founder Be My Mentor