Ripensare la formazione nella società della conoscenza
Dopo un duro lavoro di ricerca da parte della nostra Associazione è disponibile il primo Libro Verde di Federformazione.
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Il 75% dei giovani che oggi studiano farà un lavoro che oggi non esiste e nessuno con certezza può dire come sarà il lavoro del futuro.
Nel 2045, secondo uno studi di McKinsey, il 40% dei lavori di oggi sarà svolto dalle macchine, secondo l’OCSE solo il 14% dei lavori esistenti sarà sostituito dai processi di automazione, e un ulteriore 30% di vecchi lavori cambierà forma con l’affermarsi dei processi di digitalizzazione.
Quello che sta capitando invece è ormai evidente: l’innovazione tecnologica opera una evidente polarizzazione del mercato del lavoro.
Da un lato lavori nuovi e ben retribuiti, cui hanno accesso le persone in possesso delle competenze necessarie a dialogare e interagire con le macchine e la tecnologia digitale. Dall’altra lavori seriali e occasionali, o a basso valore aggiunto, organizzati su piattaforme o delegati secondo nuove forme di esternalizzazione.
La sostituzione uomo macchina per ora è rinviata ad un futuro non si sa quanto prossimo. Oggi bisogna fare i conti con le dinamiche che caratterizzano l’economia della conoscenza, su tutte il processo di accumulazione di competenze, che diventa centrale per stimolare innovazione e nuova produttività.
In tempi di digitalizzazione dei sistemi produttivi, sul processo di “manutenzione” delle competenze si costruisce la quarta rivoluzione industriale, si dà valore a imprese e lavoratori e prendono forma paradigmi nuovi per definire il ruolo sociale ed economico che si attribuisce oggi al lavoro nella società.
Se cambia il mercato del lavoro, cambia il modo di pensare al lavoro e cambia anche il lavoratore, la sua percezione di sé nel mondo che lo circonda, i suoi bisogni e le sue aspirazioni.
Da questo punto di vista l’Italia, che resta la seconda nazione manifatturiera per esportazione in Europa e la quinta al mondo, sconta un basso livello di competenze dei suoi lavoratori che genera quella dinamica che i ricercatori chiamano “low skills equilibrium”, fenomeno che determina un mercato del lavoro di basse competenze che a sua volta richiede in prevalenza competenze basse. Per l’Italia, data la natura della sua struttura economica e produttiva, agganciare il treno dell’innovazione significa continuare ad esistere su un mercato mondiale sempre più competitivo. In termini occupazionali, in attesa di capire quale sarà il tasso di sostituzione del lavoro umano con quello dei robot, non innovare significa perdere sicuramente ricchezza e occupazione.