Formazione sostenibile: il cliente ha sempre ragione?
Nel primo articolo di questa nuova serie sulla sostenibilità della formazione abbiamo sottolineato a cosa si debbano ispirare i criteri per scegliere la formazione: di cosa dobbiamo tenere conto nello scegliere un’attività formativa per noi a titolo personale o per i collaboratori in azienda?
Ci occorrono criteri ben definiti, attenzione vigile e qualche domanda fondamentale, se vogliamo promuovere il committment, la cultura, lo sviluppo e la crescita dei collaboratori e dell’azienda in una cornice più utile, più conveniente ed economica di sostenibilità.
Negli articoli già pubblicati “Contributi per una formazione che forma” troverete ulteriori osservazioni.
In questo secondo articolo proponiamo alcune riflessioni relative al rapporto tra formazione e cliente, al modo in cui viene pensato e al tipo di interazione che si crea con lui.
Il cliente al centro
Si parla tanto di mettere il cliente al centro, ma poi si sente sempre parlare di cliente che ha torto, oppure che ha ragione ma solo se… Ci sembra quindi opportuno chiarire il rapporto col cliente in un’ottica di formazione sostenibile.
In che modo è responsabilità o “colpa” del cliente? Chi ha ragione e chi torto? È questo un modo utile per pensare il cliente? È un modo sostenibile? Non è per caso che il “cattivo” cliente è il contraltare di un “cattivo” formatore? Cosa si intende per “collaborazione” in ambito formativo?
Intanto, in ambito formativo, il cliente (colui che paga l’attività formativa), il committente (colui che sceglie l’attività formativa) e il destinatario (colui che fruisce direttamente dell’attività formativa) possono essere la stessa persona oppure addirittura tre distinte.
Questo non cambia però la necessità di considerare questa figura (singola o triplice) al centro dell’attività del formatore, un po’ come l’ago della bussola: è lui che ci indica il nord e di conseguenza la direzione che dobbiamo scegliere.
Obiettivi e responsabilità del formatore
È responsabilità di chi conduce le varie fasi di un’azione formativa interagire con clienti, committenti e fruitori; quindi:
- È sua responsabilità raccogliere il bisogno formativo con un lavoro di qualità e non compilando in modo banale un modulino; si tratta in effetti di un momento di consulenza, un po’ come dare già in questa occasione un esempio di ciò che avverrà dopo, una dimostrazione di come lavoreremo con i corsisti o i coachee. In un certo senso il committente/cliente è il nostro primo “formando”, che l’intervento sia di aula, di coaching, di consulenza. Raccogliere e analizzare il bisogno formativo è già formazione e non una sua semplice premessa. Anzi, è il primo biglietto da visita della formazione!
- È sua responsabilità chiarire, rispetto a ciò che viene richiesto, cosa si può ottenere in base allo specifico contesto, a quanto tempo disponibile e a quali strumenti e metodologie impiegabili; non sempre il cliente/committente/fruitore è in grado di valutare quanto la qualità di un intervento formativo e dei suoi risultati siano determinati dal tempo disponibile, dalle metodologie scelte e da altri parametri simili. Non è il suo lavoro, ma è quello del formatore, che lo deve svolgere adeguatamente al momento opportuno, non recriminare dopo. Solo se comprendiamo appieno cosa si aspetta il cliente, possiamo commisurare una proposta che sarà davvero “a misura” e non un preconfezionato che cerchiamo di stiracchiare per adattarlo.
- È sua responsabilità raccordare le richieste del cliente/committente con quelle del fruitore (destinatario è un termine troppo “passivo”, di pura ricezione). Questo è uno degli ambiti in cui si misura la professionalità del formatore. La discordia e le difficoltà esistono già, non occorre che interveniamo noi per acuirle. Il formatore è tale per tutto il sistema e non solo per una parte dell’azienda, per un reparto o un singolo, anche se dirigente.
Insomma, gli obiettivi di tutti coloro che sono coinvolti devono essere identificati, armonizzati e raggiunti. Altrimenti la formazione (qualunque genere, anche quella di aggiornamento tecnico) ci insegna non a crescere ma a contrapporre e limitare. E allora a cosa serve?
In effetti la domanda “il cliente ha sempre ragione?” è sbagliata!
Se ci poniamo una domanda “…o…o…” necessariamente una delle due parti sarà vincente e una perdente. E poiché l’attività formativa è sistemica, in quanto coinvolge tutti coloro che –nei differenti ruoli- contribuiscono a renderla ciò che è, alla fine sarà la formazione ad avere perso nella sua interezza e tutti noi clienti/committenti/fruitori/formatori avremo perso con lei.
Deve crescere il sistema azienda e deve crescere il sistema lavoratore, a qualunque livello sia inquadrato e non una parte a spese dell’altra. Cliente al centro deve essere un modo ricco di pensare.
Soddisfare il cliente
La questione è che il cliente (/committente/fruitore) deve sempre essere soddisfatto; noi dobbiamo creare una collaborazione che porti al risultato che tutti coloro che sono coinvolti (noi formatori compresi) desiderano e reputano importante. Se siamo formatori professionalmente competenti e non degli improvvisati, dobbiamo creare le condizioni per una collaborazione paritaria e sistemica, che renderà un cliente soddisfatto e fidelizzato.
Nel caso in cui sia assolutamente impossibile qualunque condivisione, perché uno degli attori considera solo l’uso e consumo dell’attività formativa, il costo invece dell’investimento, o la dimostrazione che l’adempimento –che per lui è solo un fastidio- è stato formalmente completato, allora al formatore spetta un’importante decisione: può giocare a questo pessimo gioco, facendo del suo meglio, senza gettare colpe ad altri ma chiedendosi “data la situazione così com’è, io cosa posso fare che porti a un risultato soddisfacente e che sia etico e sostenibile?”; può decidere di rinunciare a essere partner in una complicità miope.
Anche il comportamento di lasciare, per un cliente del tutto refrattario alla formazione, può essere una buona occasione “formativa”: si renderà conto che non tutte le persone sono sottomesse a lui, con una competenza professionale incerta e ossequenti a un lavoro mal fatto solo perché così è richiesto con poca lungimiranza. E se c’è qualcuno che poi accetta al posto nostro condizioni inaccettabili, magari è talmente bravo da aver trovato risposte e modalità a noi sconosciute e qui possiamo imparare, magari è una sorta di “crumiro” della formazione, non utile, non etico e non sostenibile.
Sarà spazzato via prima di quanto –noi e lui- crediamo.
La professionalità è questa: non possiamo certo dire al cliente/committente/fruitore cosa deve pensare né lagnarci di ciò che pensa, ma possiamo guidarlo verso un’esplorazione che amplierà e arricchirà il suo modo di considerare la sua azienda, la sua realtà, il suo e nostro lavoro.
Questa è la migliore strada da percorrere.