Prendendo spunto dall’interessante intervento del presidente di Fondimpresa Bruno Scuotto, pubblicato dal Sole 24 Ore martedì 3 dicembre, si coglie l’occasione per fare il punto su quali siano i nervi ancora scoperti del sistema dei Fondi Interprofessionali per la formazione continua.
Il primo aspetto, ben evidenziato nell’articolo di Scuotto a cui si rimanda, è relativo ad una impostazione che considera le risorse investite in formazione, per quanto riguarda l’accesso ai conti di sistema, annoverate tra gli aiuti di Stato, irrigidendo ulteriormente procedure che già devono tenere conto di iter burocratici complessi imposti dalla natura pubblicistica delle risorse stesse.
Da più parti si levano pressanti inviti ad affrontare la questione a livello comunitario, nella convinzione che la formazione per sua natura non possa essere considerata tout-court un vantaggio competitivo per l’impresa.
Oltre al tema sollevato nell’articolo di cui sopra, altrettanti rilevanti se ne pongono, poiché il sistema, purtroppo, è ancora disseminato di criticità irrisolte, a partire dal ruolo delle parti sociali sino ad arrivare alle funzioni dell’organo di vigilanza ANPAL.
Iniziamo, dunque, oggi, un breve ciclo di interventi sulle problematiche relative alla operatività dei Fondi Interprofessionali affrontando in prima battuta gli aspetti relativi al ruolo delle parti sociali.
Come noto agli operatori del settore, i Fondi finanziano piani formativi aziendali, territoriali, settoriali o individuali concordati tra le parti sociali (art.118 legge 388/2000). Lo spirito della legge istitutiva dei Fondi Interprofessionali è assolutamente condivisibile: in considerazione del fatto che la possibilità di istituire tali strutture è stata affidata alle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale, è del tutto naturale che tali organizzazioni abbiano un ruolo attivo, assommandosi in queste le istanze e le competenze che possono essere utilmente messe a disposizione degli operatori economici.
Sulla carta sembra funzionare tutto.
Ma numerose sono le criticità che tale impostazione comporta, evidenziatesi soprattutto a seguito dell’intervento nell’anno 2015 del Consiglio di Stato che ha definitivamente sancito la natura pubblica delle risorse.
La condivisione delle parti sociali ha infatti assunto, in taluni casi, caratteri di vera e propria limitazione all’accesso delle risorse per imprese ed enti di formazione che le rappresentano.
Non ottenere l’accordo sindacale comporta, nei fatti, l’impossibilità di poter proporre a finanziamento il piano formativo, prescindendo dalle reali esigenze delle aziende e dalla bontà degli interventi proposti.
Mentre per i Fondi Interprofessionali della prima ora – nati dagli accordi tra sigle datoriali e sindacali storiche e radicate fortemente nelle aziende e nei territori – il confronto finalizzato alla condivisione dei piani formativi viene attuato in azienda o, ove non presenti le rappresentanze interne, al livello territoriale più prossimo, per alcuni Fondi autorizzati successivamente e caratterizzati talvolta da parti sociali con una scarsa se non assente diffusione aziendale e territoriale, la condivisione può avvenire in modalità del tutto anonima senza aver modo di interagire con i referenti delle organizzazioni di rappresentanza, al fine di motivare, dettagliare, costruire ed infine concordare il piano formativo.
La possibilità di accesso alle risorse pubbliche è pertanto condizionata da una valutazione che talvolta potrebbe apparire anche del tutto discrezionale, non partecipata, e tantomeno motivata, con una palese violazione degli obblighi di trasparenza, pari opportunità di accesso alle risorse, motivazione delle scelte, ed in generale di tutti i doveri normalmente imposti ai gestori di fondi pubblici.
Appare incredibile che un tale potere di indirizzare ingenti risorse pubbliche in modalità potenzialmente discrezionali ed arbitrarie sia concesso, senza alcuna regolazione, a soggetti privati che potrebbero essere anche in condizioni di conflitto di interesse, in considerazione anche dei numerosi enti di estrazione datoriale e sindacale che utilizzano tali risorse.
A dire il vero, ANPAL, con la circolare del 10 aprile 2018, tenta di supplire come può a questo deficit normativo, imponendo in via generale ai Fondi Interprofessionali di garantire un corretto processo di condivisione delle parti sociali, entrando anche nel dettaglio di talune modalità operative, senza però che tale intervento abbia comportato modifiche significative nei comportamenti di alcuni Fondi.
Regolamentare tale aspetto sembra doveroso e necessario al fine di un corretto e più efficiente utilizzo delle risorse destinate alla formazione dei dipendenti delle imprese italiane, soprattutto in tempi dove la formazione continua del lavoratore riveste un ruolo non solo economico ma principalmente sociale.
Roberto Nicoletti
Dottore Commercialista
Consulente in politiche attive del lavoro