Apriamo un nuovo ciclo di articoli, che vogliono focalizzarsi sulla sostenibilità nella formazione. Non basta pensare alla sostenibilità, sensibilizzarci e collegare a questo la necessaria formazione; occorre che la formazione stessa sia sostenibile, quindi corretta, funzionale, di qualità, equilibrata e collaborativa. Altrimenti gli scopi della sostenibilità ne rimarranno vanificati. Con questo primo articolo della serie esploriamo principalmente l’area legata ai criteri di scelta.
La bella Virginia al bagno
Nei primi decenni del secolo scorso, quando le Fiere itineranti animavano giornate di festa, venivano aperti numerosi baracconi, ciascuno dei quali offriva un divertimento. Alcuni proponevano prove di abilità, come il tiro a segno, altri stuzzicavano la fantasia, soprattutto dei giovani, come quello che recava la scritta “La bella Virginia al bagno”. Anche i ragazzini, in cambio di una monetina, potevano entrare uno per volta e concretizzare la loro immaginazione… All’interno, a mollo in un catino d’acqua, un bellissimo sigaro di tabacco Virginia: Virginia al bagno, appunto! E chi usciva, sotto lo sguardo attento e incuriosito di chi stava attendendo di entrare, non svelava –un po’ per divertimento e un po’ per vergogna– il contenuto del baraccone. Al contrario, faceva grandi cenni, sia di assenso sia di sorpresa, accrescendo così l’aspettativa… “Vedrete! Vedrete!”
Ci sembra che la stessa cosa accada ai giorni nostri nel campo della formazione.
Di cosa dobbiamo tenere conto nello scegliere un’attività formativa per noi a titolo personale o per i collaboratori in azienda?
E prima ancora, come deve essere e a cosa deve servire la formazione?
Di questo abbiamo già scritto più diffusamente in due serie di articoli: “Contributi per una formazione che forma” e “Ripensare la formazione”.
In sintesi, non basta che la formazione accresca l’employability: deve contemporaneamente mirare all’equilibrio della vita professionale e personale, anche se si tratta di formazione in ambito tecnico.
La formazione è una necessità e un investimento, non un adempimento né un costo. Solo così sarà una formazione sostenibile volta alla sostenibilità. E per questo deve conoscere i processi di apprendimento e avere la massima chiarezza riguardo gli obiettivi da raggiungere, correttamente formulati. In sostanza gli stessi criteri che ci devono guidare nella scelta di un tipo di azione formativa piuttosto che di un altro.
Troppo spesso invece la scelta viene fatta sull’onda di un nome altisonante, di un’offerta eclatante, di una fantasia che cattura o un titolo che stuzzica, di una superficialità che non approfondisce proposte certamente strepitose, che però si rivelano subito deboli e contraddittorie a un ascolto o una lettura un po’ più attenta.
Ci sono proposte interessanti, serie e di qualità: impariamo a scegliere quelle e non le altre.
Esempi pratici
Un gruppo di insegnanti aveva scelto, per la sua crescita, un corso di ballo perché sarebbero stati insegnanti migliori grazie al relax che ne avrebbero ricavato. Chi affiderebbe loro volentieri i propri figli?
Per rendere più coesa e collaborativa una squadra di lavoro, si scelgono attività “formative” quali degustazioni e cabaret (divertenti, ma spendibili poi come, nel lavoro?) o si impegnano i singoli e i sottogruppi in attività di gara nel costruire prima o meglio qualcosa. Orienteering, rafting, regate, prove ginniche, persino camminata sul fuoco, con annesso incitamento individuale, pena l’accusa di essere rigido, non socievole e nemmeno collaborativo. Oppure sedute che rasentano la terapia di gruppo (non richiesta in azienda), dove lo “specialista” di turno interpreta i messaggi e gli elaborati, invitando a collegare le proprie relazioni primarie con i risultati che i partecipanti ottengono (o no) in azienda.
Si cerca la “collaborazione”, ma si pratica e si comunica la “competizione”: uno contro l’altro, una squadra contro l’altra, una classifica in cui il primo vince e gli altri perdono. E come lavoreranno e collaboreranno poi, nella pratica quotidiana, nelle situazioni giorno per giorno, questi “vincenti” e questi “perdenti”?
Un’azienda ha scelto una formazione di “alto” livello solo per gli “high potential”: immaginate gli effetti anche sui top manager “slow”, per i quali evidentemente doveva bastare una formazione di “basso” o “medio” livello…. Che poi erano la maggioranza…
Un convegno internazionale di formazione proprio in questi giorni offre, rigorosamente a prezzo differente, posti vip e posti “normali” nella stessa sala: chi sono i “normali”? Quale senso attribuire a questo messaggio ben impresso sul dépliant?
Il titolare di un’azienda, su consiglio di importanti consulenti, ha diviso i suoi manager in due barche a vela, in gara una contro l’altra. E per far vincere quella in cui lui si trovava, a un certo punto è stato aggiunto un aiutino: il motore. Vi lasciamo intuire quanto lo spirito di team e la collaborazione siano migliorati…
Pensando all’innovazione si finisce per scegliere “esperti”, che offrono schemi sempre più complessi e miracolosi, in genere provenienti dal mondo anglosassone, sicuramente interessanti, ma presentati senza chiedersi chi siano, cosa facciano, di cosa abbiano bisogno e cosa pensino le persone e le aziende che li useranno… Rispondono alle specifiche necessità di questa azienda? E chi ha tempo per chiederselo?
Sono innovativi!
Se vuoi essere “in” li dovrai usare, altrimenti sei arretrato, per niente innovativo né all’avanguardia. Per intervenire servirebbe prima un’analisi sistemica della situazione, in cui si prendono in considerazione molti elementi e le loro reciproche interazioni, mentre troppo spesso si lavora su un solo aspetto che è incasellato in uno schema prodotto altrove per essere usato in un contesto differente. Analisi che non è concentrabile in una scheda di “rilievo del bisogno formativo” di frequente compilata avendo già accanto la soluzione, prima ancora che il problema sia stato chiarito, magari perché il consulente di turno si occupa di coaching e quindi ogni necessità formativa lì deve andare a parare…
A volte arrivano Docenti famosi, che spiegano, trasferiscono, prescrivono con sussiego e termini non adatti ai destinatari (per evidenziare la loro fama o il loro ruolo?): se prescrivere fosse sufficiente, come mai i Dieci Comandamenti sono così spesso disattesi?
A volte arrivano altri Guru che, dopo una breve presenza introduttiva, si fanno sostituire da qualche loro collaboratore. Messaggio di grande rispetto e considerazione per l’azienda e i partecipanti e non fa differenza se il collaboratore è “bravo”.
Disruptor: l’importante è perturbare, interrompere, scardinare. Ma cosa, a quale scopo e in quale direzione? Chi rompe paga e i cocci sono suoi: poi cosa e come ricostruisce? Ma ricostruisce? Questa parte non gode della stessa rilevanza nelle promesse di perturbazione.
A volte basta guardare qualche offerta sul web: cambiamenti rapidi, facili e rivoluzionari, grazie al metodo unico e infallibile posseduto solo dal Guru di turno, spaziale e travolgente persuasore che vince (e chi perde, allora?) anche sui più riottosi. Che per primo, mentre si propone nel suo filmato o col testo scritto, disattende ciò che vorrebbe noi accettassimo. Ma qualcuno ci crede lo stesso…
Ecco i 100 modi per diventare ricchi e travolgenti, tutti facilmente spiegati nel mio libro, che costa solo pochi euro. In realtà i modi sono 101: l’unico che funziona veramente è vendere tante copie di questo libro ad altrettanti aspiranti a essere “di successo”.
Definire i criteri
Se hanno una tale presa, chiediamoci magari quale parte di noi questi messaggi e questi personaggi vanno a sollecitare, e poi torniamo a un esame di realtà: criteri ben definiti, attenzione vigile e qualche domanda fondamentale.
Per assurdo che possa sembrare, è veramente raro che chi ha commissionato o partecipato a tali attività formative decida poi di farne un riesame critico e non ripeta più questo tipo di scelta.
Non occorre un’approfondita conoscenza tecnica della Formazione, per stare lontani da queste proposte, che oltretutto non costano mai solo una monetina, così come non occorre avere l’esperienza di Casanova per distinguere un sigaro da una bella ragazza.
A meno che anche noi, uscendo dalla fiera della formazione, non scegliamo deliberatamente di fare agli altri, in fila per entrare, grandi cenni pieni di sottintesi. Il nostro onore, in quel momento, sarà apparentemente salvo. Ma la bella Virginia al bagno sarà sempre nei nostri scenari. Chiediamoci come noi stessi, o l’azienda in cui lavoriamo, funzioneranno dopo, nel tempo e nella quotidianità, e quanto a lungo vogliamo tenere in essere l’ignoranza, la demotivazione e il loro alto costo invece di promuovere il committement, la cultura, lo sviluppo e la crescita in una cornice più utile, più conveniente ed economica di sostenibilità.