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Formazione: i metodi, fra realtà e leggenda

Formazione i metodi, fra realtà e leggenda

Formazione i metodi, fra realtà e leggendaConcludiamo con questo secondo articolo il tema del metodo, che è una componente importante di un progetto, ma non ne può mai essere l’innesco.

Il metodo è una scelta e non una moda né un’argomentazione di vendita, messa in campo per proporre attività formative.

La Formazione è una necessità di crescita e a questa dobbiamo primariamente rispondere.

Possiamo pensare il metodo anche come una metafora che ordina le scelte e i passi da compiere per passare dalla situazione di partenza a quella di arrivo: per scegliere occorre sempre pensare agli effetti: è funzionale a questo gruppo e a questa situazione una metafora nata nel mondo sportivo? O in quello bellico? O scolastico? O…?

Quindi quali metodologie impiegare? Dipende! Per operare questa scelta, occorre tenere presenti numerosi fattori.

Il metodo: una classificazione

Potremmo collocare il metodo a mezzo tra i modelli teorici che fanno da riferimento/cornice a un progetto e un’attività formativa con relativi strumenti pratici che i Formatori scelgono di impiegare.

I metodi sono molto numerosi, possono essere catalogati ascrivendoli a differenti tipologie e molti di essi possono contemporaneamente appartenere a tipologie differenti.

Quello che segue è quindi solo uno dei possibili elenchi:

  • Metodi classici: varie tipologie di Lezione compresa quella frontale, varie Esercitazioni, Role play, Business game…
  • Metodi centrati sul gruppo: T-Group, Gruppo operativo, Outdoor…
  • Metodi centrati su competenze e organizzazione: Autocasi, Didattica per situazioni, Problem based learning, Analisi di casi, Action learning…
  • Metodi centrati sull’individuo: Consulenza filosofica, Coaching, Counceling, Mentoring, Tutoring…
  • Metodi centrati sulla messa in scena: Storytelling, Teatro impresa…
  • Metodi centrati sulla tecnologia: E-learning, D.A.D., Videogames, Video interattivi…
  • Metodi centrati sulla persona: Pratiche filosofiche, Scrittura di sé, Attività educative, Autoformazione…

Il metodo: da conoscere con cura

Ogni metodo ha una nascita e una storia, che dobbiamo conoscere per comprendere come, quando usarlo e che senso attribuirgli.

Le copie, ancor più se approssimative, sono deleterie.

Il Responsabile della Formazione di un’Azienda nostra cliente si trascriveva con la massima precisione tutti gli esercizi che proponevamo in aula, poi li faceva svolgere lui stesso al personale: non comprendeva come inquadrarne la presentazione, né quale scopo effettivo avessero, né come ricavarne un feedback che andasse oltre “esercizio fatto”/“esercizio non fatto” ma si risentiva per le lamentele dei malcapitati e per l’esiguità dei risultati.

Abbiamo anche visto simulazioni avvenieristiche e team building all’ultimo grido, decisamente mal proposti e mal gestiti, rendere vana un’azione formativa.

La scarsa conoscenza e la mancanza di chiarezza di un metodo portano spesso a stravolgimenti: lo chiamiamo coaching, ma lo trasformiamo in una lezione frontale corredata di qualche esercizio, molte prescrizioni e vari controlli; lo chiamiamo counceling ma lo trasformiamo in una psicoterapia non richiesta; lo chiamiamo team building ma lo trasformiamo in una gara magari con annessa seduta di autocoscienza di gruppo…

Il metodo: come sceglierlo

In senso assoluto, nessun metodo è migliore di un altro né è migliore quello più “innovativo” rispetto a quello “sorpassato”: in base a quali criteri, poi?

Dipende dal processo in cui è inserito e dagli scopi per i quali viene scelto. E dipende da come viene gestito.

Il metodo deve essere prima di tutto funzionale a ciò di cui i partecipanti hanno bisogno per raggiungere gli obiettivi, in un terreno di compatibilità con persone, organizzazioni e risultati.

Data questa specifica situazione, qual è il metodo più adatto per ottenere il risultato che interessa a me -formatore- a loro -fruitori- e alle organizzazioni coinvolte?

Non ha senso proporre coaching o outdoor in ogni situazione e come risposta a ogni tipo di richiesta, perché “è di moda” o “di rapido risultato” o “pratico” (e qui vi rimandiamo a precedenti articoli sull’apprendimento e sul rapporto tra teoria e pratica).

Si tratta di un metodo, che deve essere parte del sistema di relazioni che creiamo tenendo in primo piano chi usufruirà della formazione e legandolo a chi la richiede, agli obiettivi, a ciò di cui c’è bisogno, al contesto socioeconomico e aziendale-organizzativo, alle prospettive, a… a… a…

La moda e l’innovazione, di per sé, non sono di alcuna garanzia, né coprono la labilità di un progetto.

Si tratta di una scelta relativa al come proporre ai fruitori della formazione le esperienze che li porteranno a ri-considerare i loro schemi abituali, a confrontarsi col “nuovo” per aprirsi a ulteriori apprendimenti, competenze, abitudini, modi di pensare e di scegliere, a come aggiornarsi, a come crescere professionalmente o come ri-proporsi nel mercato del lavoro.

E questo vale per attività formative rivolte a un manager di fronte a un’azienda o a un saldatore di fronte a una modernissima saldatrice computerizzata.

Coaching, outdoor, business game non sono “la formazione” a prescindere dal resto: sono metodi che entrano nel processo formativo e sono scelte che chi gestisce questo processo deve compiere; all’interno del processo, mai a priori!

Spesso la scelta migliore è quella di una metodologia blended, in cui il mix scelto sia molto equilibrato. Tenendo conto che, durante l’attività formativa, facilmente emerge la necessità di sostituire almeno uno dei metodi previsti…

Il metodo: i paradossi delle mode

La scelta affrettata e superficiale e la scarsa conoscenza di un metodo conducono a situazioni confuse e di scarsa qualità. A scatole vuote!

Il coaching rivolto a un gruppo si trasforma quasi automaticamente in una lezione frontale con esercizi…

Spingere prevalentemente sulla “concretezza” porta ad azioni senza riflessione e con scarsa conoscenza…

Alcuni metodi centrati sul gruppo diventano un confronto -senza alcuna chiarificazione dei criteri- tra chi è bravo, allineato, conforme, fisicamente più in forma e chi lo è meno… Creano competizione e non collaborazione, creano un clima emotivo spiacevole, di rivalsa o di abbandono…

I metodi che propongono attività eccezionali -in genere decontestualizzate, come per esempio il fire walking– non aiutano poi i partecipanti a gestire la quotidianità, magari un po’ ripetitiva e mediocre, né a migliorarla…

I metodi basati sulla tecnologia rischiano di concentrarsi su di essa e sul suo impatto invece che sull’apprendimento delle persone…

Qualunque metodo, se usato a distanza e ancor più in differita, si trasforma -che lo vogliamo o no!- in una lezione frontale, con o senza compiti a casa, o addirittura in una sorta di visione di un film…

E -ultima ma non meno importante- quanto alla lezione frontale, vediamo che è molto più facilmente criticata che fatta bene: anche qui improvvisazione e stereotipo prevalgono sull’ampiezza e flessibilità di vedute e sulla competenza approfondita e complessa.

Ecco, alla fine il punto è proprio questo: cosa può proporre agli altri la Formazione, se non… conosce se stessa?

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