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22 Ago

Comunicazione: un viaggio nella chiarezza

Comunicazione: un viaggio nella chiarezzaViviamo in un mondo di collegamenti: gli Stati, l’economia, la scienza, la tecnologia, le culture, le informazioni, i big data, le persone… Ecco perché la comunicazione è diventata così importante: ci permette di sostenere questi collegamenti.
Non ci sono due persone che capiscano la stessa frase allo stesso modo. Comunicando con altre persone non dobbiamo far sì che loro si adattino al nostro concetto di cosa loro dovrebbero essere o fare… Potremmo anche avere la più valida delle intuizioni, ma non possiamo essere noi che decidiamo in casa loro e prescriviamo loro cosa devono capire, come si devono sentire, come devono vivere. Comunicare è costruire un ponte, non dire agli altri come devono gestire la loro riva o modificargliela entrando a gamba tesa, anche se magari con consumata gentilezza.

Quando comunichiamo, il nostro messaggio non deve essere in sintonia con la nostra immagine del mondo, ma deve essere funzione dell’immagine del mondo del nostro interlocutore/destinatario. Il fatto è che le nostre convinzioni, metri di paragone, esperienze, regole personali e professionali non racchiudono tutto ciò che è possibile, sono solo un piccolo tassello di ciò che è possibile.

Ripensate alla comunicazione alla luce di queste righe.

Proprio partendo da questi presupposti ripensate ora alle numerosissime proposte di corsi e seminari sulla comunicazione (in presenza o addirittura on line) che offrono la prescrizione di messaggi e comportamenti “giusti”, “perfetti”, “risolutori”, “persuasivi”, “gioiosi”…
Questo in sé non è né un bene né un male, ma dal punto di vista della funzionalità e dell’efficacia si basa sull’idea che ciò che va bene per una persona possa andare bene anche per un’altra, che le situazioni e le esperienze caratterizzate dallo stesso “nome”, dalla stessa descrizione in termini di esperienza siano strutturalmente isomorfiche e che il messaggio inviato o la soluzione suggerita sia contemporaneamente accettabile per l’interlocutore e suscettibile di duplicazione, senza particolare attenzione al contesto.

Un comunicatore non è efficace perché conosce le “giuste” tecniche ma perché sa impiegare le tecniche che conosce, le sa scegliere e dosare affinché esse siano al servizio di messaggi costruiti in modo tale da entrare in contatto, essere compatibili e avere senso per l’interlocutore e il suo mondo. Un ponte.

Certo, i messaggi recheranno in ogni caso tratti e stile del comunicatore… Non siamo pc, semmai siamo gli esseri umani che li creano e se ne servono…

È ovvio che ciascuno di noi porti avanti lo scambio comunicativo in modo consono alle proprie competenze e a quello che ritiene un modo adeguato di procedere. È naturale che facciamo affermazioni, poniamo domande, reagiamo alle risposte e avanziamo idee in sintonia con ciò che consideriamo giusto, valido, importante e significativo.
Proprio da queste considerazioni scaturiscono alcune linee all’interno delle quali si sviluppa una significativa comunicazione funzionale:

  • Identificare con chiarezza e precisione quale obiettivo stiamo perseguendo con i nostri messaggi. Domandare, rispondere e reagire a volte sono momenti nei quali perdiamo di vista proprio l’obiettivo, così ci sperdiamo nella nebbia delle interpretazioni personali (perché io…, perché lui…, quindi allora noi…, io so che…) e ci facciamo comandare dai contenuti invece di essere noi a direzionare la struttura della comunicazione. Obiettivi correttamente formulati, ovviamente, e verificati sia dal punto di vista dell’ecologia sistemica sia da quello del linguaggio di precisione.
  • Sperimentare come creare sintonia col nostro interlocutore, cosa possibile seguendo una modalità adeguata, che parte da livelli e osservazioni minime basate sull’utilizzo dei nostri 5 sensi per arrivare a un rispecchiamento di livelli sempre più importanti e profondi (in base alla situazione, agli scopi e al contesto). Per ottenere questo risultato non bastano certo tre ore on line di regole, curiosità e trucchi, ma serve la disponibilità a lavorare prima di tutto su noi stessi come comunicatori e come realizzatori di esperienze e apprendimenti. E soprattutto a farlo assieme ad altri, in gruppo, perché l’apprendimento è praticoteorico, o non è.
  • Riorganizzare le nostre esperienze e i nostri apprendimenti modificando i criteri da noi usati per l’inserimento nel nostro database mentale, mettendo in gioco idee e convinzioni, soprattutto quelle di cui non siamo consapevoli. Riconoscere gli schemi che abbiamo automatizzato e che ci guidano.
  • Imparare a riconoscere i propri stati emotivi, i ruoli a volte insospettati che ricoprono e come gestirli. Inoltre scoprire risvolti che mai avremmo pensato fossero contenuti in un messaggio, lungo o breve che sia, rivolto a sconosciuti o a persone che conosciamo bene da molto tempo.
  • Assumere l’abitudine “automatica”, di fronte a ogni scelta comunicativa o di altro genere, di pensare a molteplici conseguenze, tempi lunghi, effetti collaterali, altre situazioni e persone coinvolte, in modo da abbandonare sempre più un modello di funzionamento meccanicistico, lineare, reattivo e causale a favore di un modello di funzionamento complesso e circolare, di ampio respiro, di ricerca di collegamenti e connessioni a molteplici punti di vista. Insomma possiamo passare da “…o…o…” (alternativa, o questo o quello, contrapposizione) a “…e…e…” (aggiunta, arricchimento, sistema, collaborazione, coevoluzione… E sostenibilità!)

 

Anche un semplice “buongiorno!”, rivolto a qualcuno a inizio giornata, contiene tutti questi elementi e molti altri ancora…
Quello all’interno della comunicazione è un vero e proprio viaggio che non è possibile sveltire o abbreviare né fingere di parteciparvi tenendosi un po’ discosti: sarebbe come fingere di bere supponendo che questo ci calmerà la sete…
Un viaggio sempre coinvolgente, piacevole e affascinante, talvolta anche faticoso; per questo si possono creare utili tappe intermedie, che lo renderanno percorribile a chiunque sia interessato.

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