Ecco il secondo articolo del ciclo incentrato sull’apprendimento. Sono i processi di apprendimento che devono guidare ogni passo della Formazione e questi sono contemporaneamente individuali e sociali.
Conoscere dati Vs apprendere
L’apprendimento deve portare alla conoscenza, non al possesso di informazioni.
La conoscenza dei dati è un fondamentale punto di partenza per l’apprendimento e i dati si trovano -nel periodo attuale più che in ogni altro- con facilità e abbondanza.
In un continuum indifferenziato e sovrabbondante di informazioni, siamo sempre noi che scegliamo di quali dati servirci, a quali prestare attenzione, come verificarli.
Questa capacità va appresa! Con buona pace di chi ancora crede che Google sia la soluzione di tutto…
La conoscenza quindi non è semplice possesso di dati, ma è capacità di scegliere e prendere decisioni a fronte dei dati raccolti e la capacità di fare riferimento a presupposti chiari e a obiettivi correttamente formulati rispetto a quali dati raccogliere e valorizzare.
Apprendimento: conoscenza tacita e conoscenza esplicita
Possiamo apprendere individualmente o in gruppo, ma in ogni caso -e indipendentemente dalla modalità e metodologia con cui apprendiamo- l’apprendimento è sempre esperienziale, come abbiamo sottolineato in articoli precedenti e come troverete in altri.
Inoltre nel gruppo l’apprendimento è “moltiplicato”: ciascuno ha disponibile, in contemporanea e oltre alla propria esperienza, anche quella di tutti gli altri componenti, in una progressione geometrica; il gruppo stesso, infatti, è qualcosa di più e di diverso dalla somma delle sue parti.
Nelle organizzazioni (dall’Azienda alla Scuola) l’apprendimento si realizza tramite scambi “sociali”.
Ci riferiamo qui a due tipologie di conoscenza.
La conoscenza tacita comprende abilità e capacità informali, ormai assimilate tanto da divenire inconsapevoli, come allacciare un bottone, cambiare una marcia, leggere, scrivere e usare dispositivi in maniera “abituale”: compiamo in automatico molte più operazioni di quanto ci sembri.
La conoscenza tacita comprende anche schemi e modelli mentali, convinzioni e percezioni, così consolidate da essere divenute assiomatiche; riflette quindi la nostra rappresentazione della realtà e la nostra visione del futuro: il mio modo di pensare e di rapportarmi alle esperienze influenza pesantemente sia il mio modo di apprendere, sia la mia capacità di disporre di quanto appreso e di creare collegamenti, di mettere in pratica e di trasferire.
La conoscenza tacita è analogica, simultanea, esperienziale.
Non dobbiamo però illuderci che qualcosa di “pratico” sia “più” esperienziale e concreto, più facilmente applicabile.
La conoscenza esplicita deriva dalla ragione, siamo consapevoli di averla, può essere acquisita e insegnata. Si può sviluppare attraverso corsi, manuali, seminari, scuola, lezioni e spiegazioni. Sistematizza e decontestualizza concetti, come le teorie scientifiche, che sono valide indipendentemente dalle situazioni particolari: la legge di gravità funziona in Italia o in Cina, per una piuma o per un masso.
Può essere definita anche digitale, sequenziale e razionale, ma non è -come troppo spesso si crede- puramente “teorica” o non esperienziale.
La scuola, la formazione e l’addestramento in azienda si occupano prevalentemente di elaborazioni relative alla conoscenza esplicita, dando spesso per scontata l’assimilazione individuale. Queste due forme di conoscenza sono strettamente intrecciate e non sono separabili, perché interagiscono tra di loro.
Interazione fra conoscenze
Quando io apprendo qualcosa opero sempre una serie di scambi, di conversioni fra la mia/altrui conoscenza tacita (ormai sono esperto nel mio lavoro e lo porto avanti in automatico) e la mia/altrui conoscenza esplicita (ciò che dico, spiego, propongo, chiarisco, studio, aggiorno, generalizzo relativamente al mio lavoro).
Le forme possibili di conversione sono quattro.
Con la socializzazione compio un processo di condivisione di esperienze e di creazione -tramite queste- di forme di conoscenza tacita, come modelli mentali e abilità tecniche condivise; resta comunque un processo contemporaneamente pratico e teorico, come ogni apprendimento.
Apprendiamo osservando e provando.
Entriamo in sintonia con una o più persone e da loro “copiamo” qualcosa, che diviene così un nostro apprendimento. “Copiare” è molto riduttivo: mentre sperimentiamo l’abilità copiata, assumiamo in ogni caso anche una parte delle modalità di pensiero e di atteggiamento della persona con cui abbiamo scambiato conoscenza tacita.
I colleghi di lavoro si passano sempre e comunque conoscenza tacita, di cui manager e consulenti a volte non tengono adeguatamente conto; anche manager e consulenti passano conoscenza tacita ai lavoratori, troppo spesso senza accorgersene. E anche Formatori e Coach…
Con l’esteriorizzazione compio un processo di espressione della conoscenza tacita attraverso concetti espliciti, che produce conoscenza concettuale: nel momento in cui descrivo come funziona la telefonata a un cliente e quali caratteristiche identificano ciascuna fase, sto trasformando la conoscenza tacita di un venditore esperto in conoscenza esplicita fruibile anche da altri.
In azienda e in ambito formativo spesso vengono proposti modelli e schemi interessanti, senza però collegarli all’esperienza personale: una “bella” slide, che “faccia colpo” e la motivazione dei collaboratori sembra risolta… O un bell’esercizio, “concreto”, che lascia il tempo che trova perché “…ma qui da noi è diverso…”
Con la combinazione associo conoscenze esplicite, compio un processo di sistematizzazione di nuovi concetti in un sistema di conoscenze che produce conoscenza sistemica: la riconfigurazione delle informazioni esistenti può condurre a nuove forme di conoscenza, processo che viene spesso dato per scontato; insegnando, ci limitiamo a fornire le informazioni con l’idea che la combinazione sarà ovviamente ed efficacemente gestita da chi le riceve, con modalità del tutto personali, di ignota ma presupposta funzionalità.
L’interiorizzazione consiste nel tradurre conoscenza esplicita in conoscenza tacita: da un modello esplicito, attraverso l’esperienza, giungo alla creazione di conoscenza tacita; ciò che ho appreso viene elaborato e metabolizzato tanto da diventare disponibile e utilizzabile in forma autonoma e spesso inconsapevole. Qui il cerchio non si chiude, ma si ripete a spirale.
Possiamo avanzare due osservazioni:
1. La chiarezza dei processi qui accennati è indispensabile perché la Formazione possa accompagnarli; deve lavorare portando avanti e presidiando questo ciclo nella sua completezza. Limitarsi a una di queste parti significa svolgere il proprio compito solo per un quarto. Al massimo “appr” invece di “apprendimento”.
2. La formazione in presenza non può essere integralmente sostituita da quella a distanza, per valida e ben costruita possa essere: per quanto si sia rivelata utile in questo periodo particolare e difficile, ciò non deve invogliare a generalizzarla; sono ridimensionate la funzionalità e l’efficacia degli apprendimenti a distanza e individuali, ancor più se limitati a fornire nuove informazioni o a prescrivere nuovi comportamenti.
Si aggiunga inoltre che la Scuola, nella maggior parte dei casi, non ha pratica di questi modelli di apprendimento, quindi tutti gli operatori della Formazione si trovano, una volta di più, a lavorare con persone che conoscono ben poco del loro modo di apprendere e a doversi fare carico di questi aspetti, come conditio sine qua non per un impatto e risultati di qualità.