Riordino delle politiche del lavoro: cambiamenti frenati
La grande attesa che si era ingenerata, è finalmente terminata. Dopo un lungo periodo di ipotesi, voci e pettegolezzi, è stato pubblicato, circa una settimana fa, il testo definitivo del decreto di riordino in materia di politiche attive del lavoro.
Si tratta di un argomento che, come Federazione di riferimento degli enti di formazione ed orientamento professionale, ci sta evidentemente molto a cuore e sul quale ci siamo spesi intensamente nei mesi scorsi, per dar voce a tutti coloro che esprimevano criticità e visioni alternative.
L’impianto del decreto conferma, purtroppo, un approccio dirigista e centralista, in cui, per tutta una serie di funzioni e contesti, è stata confermata una forte volontà di controllo ed indirizzo da parte dell’ente pubblico di riferimento.
La strada tracciata con le precedenti legiferazioni in materia, e cioè l’integrazione operativa di soggetti pubblici e privati, non è stata interrotta, ma certamente rallentata. Alcune delle attività che negli ultimi anni erano state aperte anche ai privati, sono tornate di pertinenza esclusiva del pubblico, concretamente parlando, dei Centri per l’Impiego.
A chi conosce e vive quotidianamente dall’interno le dinamiche di settore, appare evidente come quest’operazione corra il rischio di creare una serie di colli di bottiglia già all’inizio del processo e, quindi, di far perdere reattività e flessibilità ad un sistema che fa di queste caratteristiche le principali armi per offrire supporto alla ricollocazione o riconversione professionale.
Non vogliamo di certo abbassarci al becero populismo che di solito scaturisce dalle discussioni in merito alla produttività dell’apparato pubblico, ma ci preme far rilevare che la rete pubblica dei servizi per l’impiego, che vede nei CPI i centri nevralgici dell’operatività, non dispone delle risorse e delle strutture per affrontare adeguatamente la situazione.
Il rapporto fra disoccupati e operatori in Italia è circa dieci volte maggiore a quello dei paesi più efficienti, come ad esempio Belgio, Francia, Olanda, e Germania, per non parlare dei paesi del nord Europa, con cui il paragone è ancora più impietoso.
Tralasciamo, per il momento, di esprimere un parere sulla querelle che riguarda i fondi interprofessionali, in quanto l’interpretazione del decreto in merito va in netta contrapposizione con una quasi contemporanea sentenza del consiglio di stato, per cui ci riserviamo di capire come evolverà la situazione.
Certo è che, globalmente, avremmo voluto vedere un maggior coraggio, spingendo l’integrazione col privato al massimo livello possibile, allo scopo di ampliare le potenzialità del sistema, e di costruire un nuovo network, in cui fondere i pregi provenienti da ognuno dei due poli con pari dignità, e da cui derivare strumenti nuovi, efficaci e completi che potessero davvero rivoluzionare e riattivare le politiche del lavoro in Italia.
Invece, purtroppo, alcuni tratti del decreto sembrano assemblati per non scontentare, piuttosto che aprire la strada ad un vero cambiamento.
La voce che vogliamo far sentire, e di cui ci facciamo cassa di risonanza, è quella dei tecnici, di chi giorno per giorno, opera in questo settore, e si trova faccia a faccia con le difficoltà e i problemi. Non ci interessano le sacche di potere, difese o contese da chissà quali oscure lobby. Vorremmo, invece, vedere energie spese per rendere fertile il terreno in cui operano i nostri associati, per migliorare il servizio di cui, in fin dei conti, usufruiscono principalmente i cittadini più in difficoltà
Al di là di ideologie o visioni, che possono naturalmente combaciare o collidere, quella di ascoltare chi è sul campo, e vive la realtà in gioco, sarebbe senza dubbio la strada giusta da seguire se si vogliono mettere in atto provvedimenti finalizzati alla crescita e allo sviluppo.
Roberto Nicoletti
Presidente Federformazione