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Le competenze: il linguaggio

Rapporto tra competenze e linguaggio

Rapporto tra competenze e linguaggio

Continua il nostro ciclo di articoli di approfondimento legato al tema delle competenze.

Se ti sei perso le puntate precedenti, prima di leggere questo articolo, ti consigliamo la loro lettura per avere un quadro generale più completo.

Articoli precedenti della stessa serie:

  1. LE COMPETENZE PER LA RIPRESA: cosa ci occorre per ripartire
  2. COMPETENZE: il centro dello sviluppo
  3. COMPETENZE: la condizione fondamentale
  4. LE COMPETENZE: il ciclo di sviluppo
  5. LE COMPETENZE: una tira l’altra

In questo articolo, invece, approfondiremo il rapporto tra competenze e linguaggio.

Più che trasversale

Cosa di più squisitamente trasversale della competenza linguistica? Ci serve una lingua per conoscere la letteratura e la grammatica quanto la matematica, l’astronomia e la chimica. Ci serve se siamo un manager, un ingegnere, un medico, un relatore, un formatore e altrettanto se siamo un magazziniere, un meccanico, un muratore. Con buona pace di chi ancora crede che i lavori pratici e manuali di competenze linguistiche ne richiedano solo un minimo.

Già, perché le parole non hanno a che fare solo con ciò che diciamo o che ci serve dire, ma anche con ciò che pensiamo e come lo pensiamo: la qualità dei nostri processi mentali è strettamente collegata alla qualità dei nostri processi linguistici.

È vero che possiamo ormai considerare certo che la parte verbale contribuisca al significato della comunicazione solo per il 7%, lasciando il restante 93% a voce, postura, gesti, atteggiamenti, emozioni, convinzioni e stili di pensiero. Non sempre facile da accettare, ricordare e praticare, ma molto utile se vogliamo comunicare in modo funzionale e con risultati soddisfacenti.

Però in questo 7%, le parole contano molto e dicono di noi e di come organizziamo il nostro mondo molto più di quanto possiamo credere.

Si tratta di strutture del pensiero.

In quest’epoca nella quale i messaggi devono essere sempre più rapidi ed emozionali (…ma siamo sicuri che “debbano” proprio esserlo?), addentrarci nel modo in cui le parole funzionano e i modelli linguistici ci sono d’aiuto costituisce una scoperta inaspettata e formidabile.

Esperienza e linguaggio

L’esperienza richiede il linguaggio e il linguaggio organizza, ordina e gestisce l’esperienza, rendendola per noi più o meno interessante, importante, disponibile e fruibile.

Un pensiero povero dà vita a un linguaggio povero e un linguaggio povero sfronda la ricchezza di ogni esperienza per renderla povera, poiché solo così sarà a misura e gestibile con questo strumento “minimal”.

Poiché la mente organizza il linguaggio e il linguaggio organizza la mente, la povertà di linguaggio non si risolve per esempio con un ricorso più frequente al vocabolario, ma arricchendo la qualità dell’esperienza, vale a dire sviluppando l’acutezza sensoriale, la capacità di fare distinzioni sempre più sottili in ogni nostro rapporto con la realtà (ogni distinzione e ogni relazione sono codificate nel linguaggio), la capacità di riconoscere collegamenti e di pensare per scenari più ampi e flessibili.

Ecco quindi lo stretto legame tra competenze linguistiche e Formazione.

Sconvolgente che in Italia vi sia un’alta percentuale di laureati che sono analfabeti funzionali, vale a dire che non hanno sufficiente dimestichezza con la lingua (almeno una!) da poter interagire con quanto necessario per la vita quotidiana (leggere un manuale di istruzioni legate al loro campo, libri e quotidiani, una necessaria nomenclatura sociale e civile, scrivere una relazione di lavoro o un CV…); incredibile che si creda ancora che per alcune categorie di lavoratori il dono della parola non sia necessario. Se non ciò che basta per digitare “pillole di verità” sui social…

Se la Formazione non è puro aggiornamento o addestramento (che comunque richiedono uno scambio linguistico di significato condiviso, e non poco!…) ma serve a far crescere, ad ampliare le modalità di scelta e di interazione con l’esperienza, definire “trasversale” la competenza linguistica, pur corretto in sé, tende a ridurne decisamente troppo la portata.

Ampliare il linguaggio per ampliare l’esperienza

Quando qualcuno parla di una propria esperienza, la sua descrizione verbale cancellerà o modificherà gran parte dell’esperienza stessa.

Questo è esattamente quello a cui servono le parole: prendere un’esperienza estremamente complessa, dettagliata e riassumerla brevemente in modo da renderla comunicabile agli altri.

Ciò che si ottiene è, nel migliore dei casi, un quadro conciso dell’intera esperienza. “Ieri sera ho cenato”: chiarissimo il concetto, ignota la serie completa delle informazioni, irrilevanti o importanti non si sa. “Il cliente è il nostro patrimonio più importante”: parole chiare, e i conseguenti comportamenti e scelte? “La vision e la mission della nostra azienda…” che poi se ci andiamo di persona, in quell’azienda, ci chiediamo cosa effettivamente intendano, perché le confondano e quali comportamenti ne traggano…

Quando ascoltiamo le informazioni che il nostro interlocutore ci fornisce, facciamo riferimento alla nostra storia personale per farci degli scenari interni di ciò che l’altra persona dice, in modo da capirla e da sapere di quali altre informazioni abbiamo bisogno per completare il quadro interno che ci siamo fatti. Mentre facciamo questo, c’è una forte tendenza a cancellare e distorcere le informazioni, ad aggiungere dettagli che non sono stati menzionati dall’interlocutore e che non fanno neppure parte del suo scenario interno e dell’esperienza che racconta e ad aggiungerne di nostri personali.

In questa esplorazione è possibile fare riferimento a strutture linguistiche molto utili per svolgere adeguatamente il proprio lavoro e sviluppare la propria professione: il linguaggio di precisione (che ci permette di riconoscere dettagli che non sono tali, ma dai quali traspaiono i modelli di pensiero e di azione), il linguaggio di facilitazione (che crea condivisione e comprensione), il linguaggio di confrontazione (che apre la via al passaggio da convinzioni limitanti per il nostro operato e la nostra crescita a convinzioni incoraggianti), il linguaggio metaforico (che amplia il campo della comprensione e facilita il nostro interlocutore).

Il pensiero umano si fonda su schemi ripetuti, così come gli schemi abituali di comportamento: cercare di cambiare questi schemi comportamentali in modo diretto risulta quasi impossibile poiché il linguaggio è una parte importante della sottostruttura che mantiene in funzione gli schemi del comportamento. In quanto guida potente del comportamento, un cambiamento-ampliamento-arricchimento nell’uso del linguaggio può influenzare prestazioni ed esperienze di lavoro e di vita.

A questo punto risulta chiaro anche che la formazione che “prescrive” cosa fare e come comportarsi o cosa scegliere, anche se tramite schemi all’avanguardia e slides innovative e accattivanti, poco incide e ancor meno aiuta, sostiene e accompagna nel processo formativo colui che si sta formando.

Pensiamo a competenze significative e sistemiche, che non si limitino a un castello superficiale e che mettano la persona veramente in condizione di spendersi.

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