Leggendo l’articolo di approfondimento pubblicato su www.bollettinoadapt.it il 24/06/2015, che prendeva in esame il provvedimento di riordino delle politiche attive del lavoro, con particolare focus sul ruolo dei fondi interprofessionali, vorremmo esporre alcuni nostri punti di vista, in quanto rappresentanti di molti enti di formazione che da anni collaborano con efficacia e profitto con tutti i fondi esistenti.
I fondi interprofessionali si possono tranquillamente considerare la principale fonte di finanziamento cui attingono le imprese italiane per le attività di formazione dei propri dipendenti, come testimonia anche l’ultimo rapporto ISFOL sulla formazione continua, pubblicato nel marzo scorso.
La posizione di Federformazione
Ci fa piacere leggere che anche una fonte autorevole come ADAPT riconosca le gravi difficoltà attraverso cui i fondi hanno dovuto operare in questi ultimi anni, vista la confusione del quadro normativo di riferimento, e le continue riduzioni in termini di risorse, dovute ai numerosi prelievi forzati da parte del Governo.
Tuttavia non ci troviamo d’accordo riguardo le critiche alle logiche strategiche e di funzionamento degli stessi fondi.
Considerando che, nonostante gli ostacoli appena citati, il numero delle aziende aderenti ai fondi è in continua e progressiva crescita, viene naturale ritenere la loro funzione di ottima qualità ed efficacia: il dato di fatto pare incontrovertibile, il bacino di riferimento premia i fondi interprofessionali, perché le aziende li ritengono lo strumento più efficiente nella risposta ai loro bisogni formativi.
Riesce difficile immaginare come un sistema che deve soddisfare sempre più richieste, e a cui vengono ridotte le disponibilità, possa fare meglio di quanto sia stato fatto negli ultimi anni.
Purtroppo la strategia di fondo al decreto di riordino delle politiche del lavoro si mostra totalmente orientata verso una logica dirigista e centralista, infatti, anche in riferimento alla formazione professionale, ed ai fondi interprofessionali in particolare, la tendenza è sempre più quella di porre tutti i soggetti del sistema sotto una guida unica a valenza nazionale e pubblica.
Questo tipo di approccio porterà, dal nostro punto di vista, due differenti tipologie di problemi che andranno a discapito degli utenti finali della formazione professionale.
Innanzitutto non si può dimenticare che i fondi nascono all’interno di quel ricchissimo substrato che è la bilateralità, in cui confluiscono bisogni e visioni provenienti sia dalle imprese che dai lavoratori, e solo grazie a questa pluralità si possono costruire strumenti in grado di soddisfare davvero le parti in gioco. E’ inutile sottolineare una volta di più, come un sistema ad indirizzo pubblico non farebbe altro che allontanare le imprese dal centro strategico/decisionale.
In secondo luogo, visto che il decreto, da un lato sembra ricondurre le risorse gestite dai fondi interprofessionali nell’alveo pubblicistico, e dall’altro vorrebbe limitarne la fruizione a quei soggetti che siano accreditati al sistema nazionale per la formazione, ci pare di intravedere un mal celato tentativo di portare questi fondi nel calderone unico delle risorse pubbliche, in barba a tutti i recenti indirizzi giurisprudenziali.
Una tale operazione sarebbe tremendamente dannosa per le imprese e per gli enti di settore, in quanto toglierebbe quei requisiti di flessibilità e reattività che da sempre caratterizzano i fondi interprofessionali, e ingesserebbe il sistema riproducendo tutti i limiti tipici del sistema pubblico, che fino ad ora i fondi avevano dimostrato di poter superare.
Davide Gianluigi Resmini
Responsabile comunicazione esterna Federformazione