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Politiche del Lavoro: pubblico è più bello?

Politiche del lavoro

Nelle ultime settimane si sta decisamente intensificando ed arricchendo il dibatto in merito al decreto di riordino delle politiche attive del lavoro.

Da più parti, fra addetti ai lavori, associazioni di categoria, enti e professionisti del settore, stanno piovendo commenti e critiche al disegno che è stato presentato come “nuovo corso” del sistema nazionale di servizi al lavoro e della formazione.

Una cosa ha colpito più di tutto: in questo, come anche già in altri provvedimenti dell’attuale governo, la logica di fondo parrebbe quella della centralizzazione a tutti i costi, limitando autonomie, integrazioni e anche una sana forma di concorrenza.

In questo decreto, ad esempio, viene conferito all’ANPAL il ruolo di coordinamento nazionale per la materia delle politiche del lavoro, compresa la responsabilità dell’istituzione di un albo unico per gli operatori di settore, superando in entrambi i casi le recenti iniziative a carattere regionale.

Ma siamo proprio sicuri che la strada da seguire sia quella della centralizzazione totale?

Le esperienze di integrazione o concorrenza fra pubblico e privato hanno mostrato chiaramente che le aziende e i loro bisogni trovano più facilmente risposta in un sistema flessibile e reattivo, dove i tempi di risposta siano rapidi, e gli interlocutori decisivi.

L’apparato pubblico nazionale ha dimostrato a più riprese di non poter competere, su questo piano, con l’iniziativa privata per tutta una serie di limiti e rigidità strutturali, e proprio in quest’ottica erano state indirizzate le proposte degli ultimi anni, tese a creare una reale e proficua integrazione fra pubblico e privato.

Se le proposte di questo decreto verranno confermate, assisteremo a due risultati che hanno del paradossale: le regioni più virtuose, i cui sistemi di accreditamento e integrazione si stanno dimostrando fruttuosi, dovranno fermarsi e rimettere tutto completamente in discussione, e dall’altro lato l’apparato pubblico riprenderebbe un ruolo centrale sia a livello decisionale che operativo, gettando a mare tutte quelle situazioni in cui l’integrazione con il privato aveva portato benefici e innovazione.

Siamo convinti, fino in fondo, che questa opera da novella Penelope, che la notte disfa quanto fatto di giorno, sia la strada giusta da perseguire, non tenendo in alcuna considerazione quanto di buono si è appreso e sperimentato con le esperienze del recente passato?

È davvero vincente una politica che ritorni al centralismo pubblico, perdendo stimoli, iniziative e idee frutto del connubio con il settore privato?

Resmini Davide Gianluigi
Responsabile comunicazione esterna Federformazione

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