Non è chiaro se Neil Ludd fosse realmente esistito nell’Inghilterra dei primi telai a vapore. Nè si sa con precisione come nacque il movimento del luddismo che portò alla distruzione di alcuni macchinari nell’800, colpevoli di togliere lavoro agli operai. Sappiamo invece come è andata a finire: il telaio a vapore ha avviato la prima rivoluzione industriale ed è cambiato il modo di vivere, di lavorare e di pensare delle persone.
Oggi non si ha notizia di persone organizzate in gruppo per distruggere robot che di mestiere fanno i medici, gli avvocati o i direttori di orchestra grazie alla loro intelligenza artificiale. Eppure la comunità incomincia a porsi seri interrogativi sugli scenari e sulle prospettive future del processo in atto.
E su queste stesse prospettive si interrogano anche i membri della comunità scientifica che animeranno il Festival dell’Economia di Trento, uno dei più importanti momenti di dibattito ed approfondimento sui temi dell’economia e della contemporaneità in Italia.
“I robot possono liberare tempo libero per l’uomo e arricchire chi li possiede, mentre rischiano di impoverire chi non riesce più a trovare lavoro perché i macchinari hanno reso le sue competenze obsolete”.
Tito Boeri, direttore del Festival dell’Economia di Trento riassume così uno dei grandi temi del presente e del futuro, tra macchine sempre più intelligenti e fabbriche in cui i robot parlano fra di loro.
Il tema del Festival dell’Economia di Trento
A Trento quest’anno si parla di tecnologia e del rapporto tra l’uomo e la tecnologia, tra opportunità e incognite sul futuro del lavoro. Sullo sfondo un paradosso da cui non sembra esserci via di uscita: da un lato se non si innova si rimane tagliati fuori dalla competizione della produttività, spietata in un mondo sempre e più globale e connesso. Dall’altra l’innovazione crea scenari che possono generare squilibri e distribuzione del reddito diseguale, emarginando definitivamente le competenze ormai obsolete nel nuovo mercato del lavoro. L’italia dopo anni ha finalmente un piano industriale, che punta sulla innovazione per favorire una ripresa della crescita più vicina a quella degli altri paesi della area UE. Tuttavia la sindrome da sostituzione, in un paese che secondo gli indicatori internazionali ha un basso livello di competenze utili a gestire l’innovazione, rischia di generare fenomeni significativi di espulsione di lavoratori dal mercato. Non si può non innovare, altrimenti a diventare obsoleto potrebbe essere l’intero sistema paese, con le conseguenze che ne conseguono, ma occorre che lo stesso sistema paese accetti la sfida della gestione della fase del passaggio all’innovazione digitale.
“Ogni qualvolta – spiega Boeri – che si assiste ad un’accelerazione del progresso tecnologico, le tesi secondo cui le macchine sostituiranno l’uomo, decretando la fine del lavoro, prendono piede. La fine del lavoro è stata decretata centinaia di volte. Eppure nelle economie di tutto il mondo si continuano a generare milioni di posti di lavoro e il tasso di occupazione (il rapporto fra occupati e popolazione in età lavorativa) è stato ovunque in crescita nel corso del XX Secolo. Anche se la disoccupazione aumenta negli anni di crisi ed è oggi troppo alta in alcuni paesi, tra cui il nostro, non c’è traccia di una crescita di lungo periodo della disoccupazione”.
Capitale umano vs tecnologia
La partita secondo alcuni commentatori si giocherà sul capitale umano. L’innovazione non prescinde dall’uomo: ormai è noto che i processi di digitalizzazione rendono centrale nell’economia della produzione dei beni e dei servizi la conoscenza e la competenza. In Italia da questo punto di vista pare ci sia molto da lavorare, non solo e non tanto sui giovani che entrano nel mercato del lavoro, quanto soprattutto su chi nel mercato c’è già da parecchi anni. Mai come in questi anni ragionare di lifelong learning sembra una esigenza tanto delle aziende quanto dei lavoratori, un diritto ed un dovere, tanto del lavoratore quanto dell’imprenditore.
Tra l’ottimismo della volontà e il pessimismo della ragione, gli anni di crisi sono quelli del pessimismo: troppa innovazione con distruzione di lavoro e troppo poca innovazione con bassa crescita e calo della produttività. La macchina sostituisce il lavoro svolto dall’uomo con macchinari. Il punto è capire se porta con sé nuova lavoro diverso da quello che oggi conosciamo, e sopratutto se l’aumento della produttività si accompagna a quello delle retribuzioni e se genera una distribuzione della ricchezza prodotta meno disuguale di quella che abbiamo conosciuto negli ultimi anni.
Occorre infine capire se e come la creazione di valore e di ricchezza comporta creazione di lavoro. Nonostante la legge di Moore, la tecnologia non è ancora in grado di sostituire il lavoro con le macchine, soprattutto nelle mansioni non codificabili. Dopotutto, come sosteneva Pablo Picasso, il computer è una macchina stupida, che non è in grado di fare domande. Le nuove tecnologie nel settore manifatturiero e non solo sono per ora complementari allo sviluppo del lavoro qualificato. Piuttosto secondo Boeri l’impatto del progresso tecnologico sulla distribuzione del reddito dipenderà da come sarà distribuita fra la popolazione la “proprietà” delle nuove tecnologie.
In altri termini, il progresso tecnologico ha effetti sul mercato del lavoro, il quale influisce a sua volta sulle traiettorie di quello stesso progresso che non è mai uniforme, ma che dipende in particolare da demografia e dotazioni in termini di competenze e conoscenze di capitale umano di un paese.
Il tema della formazione
Il programma della tredicesima edizione del Festival dell’Economia di Trento, promosso dalla Provincia, dal Comune dall’Università degli studi di Trento e progettato da Laterza, da una prima idea di quanto pesa oggi e quanto peserà in futuro il tema della competenza, della formazione continua e della capacità di adattarsi al cambiamento per lo sviluppo e la crescita dell’economia nel nostro paese.
La formazione in Italia è stata vissuta spesso come una occasione mancata, un processo imposto e mai compreso fino in fondo tanto dal laboratori quanto dal datore di lavoro, se non nella misura dell’obbligatorietà per legge o dell’ammonizzazione sociale risarcitoria nel quadro dei processi di outsourcing o di esubero legati a delocalizzazioni produttive o obsolescenza di impianti e produzioni. La formazione oggi va pensata come un processo continuo di empowerment, necessario tanto al lavoratore quanto all’azienda. E il quadro economico nazionale e globale costituisce la condizione per valorizzare i percorsi formativi in un quadro di sviluppo e sostegno alle politiche del lavoro.
Che la formazione, la scuola e l’università fossero una parte strategica del meccanismo di crescita e di sviluppo dell’economia era noto. I processi di innovazione digitale e la crescente centralità del capitale umano nel sistema economico rendono evidente quanto sia necessario investire sul sistema delle competenze in Italia, dopo anni di tagli e di riduzione della spesa.
Data la funzione strategica del comparto, occorre ora riformare e dare sostanza al sistema della formazione continua lungo tutta la filiera, dai fondi interprofessionali al sistema della bilateralità e degli accreditamenti degli enti e delle agenzie.
Le suggestioni in questo senso non mancano. Il conto personale di attività, pensato e sperimentato in Francia, sembra uno strumento efficace per garantire una piena attuazione del diritto alla formazione dei lavoratori. Un secondo tema invece consiste nell’universalizzare l’accesso a tutti lavoratori, compresi i lavoratori autonomi di fatto esclusi. Infine occorrere pensare a un nuovo ruolo all’interno del sistema delle politiche attive degli enti di formazione, a partire dal sistema di rappresentanza nei tavoli istituzionali.