A proposito di precarietà, formazione e disuguaglianza: impossibile non augurare buon lavoro all’esecutivo giallo-verde, che dichiara guerra alla precarietà ed al lavoro povero, ed al suo ministro che dopo FoodOra e soci si concentra sul lavoro interinale, inserendo nel cosiddetto decreto dignità alcuni vincoli per le aziende che utilizzano lavoro in somministrazione, (tecnicamente il lavoro interinale oggi si chiama così).
I numeri dell’interinale in Italia sono relativamente modesti, se paragonati a quelli della Germania e della media UE, ma soprattutto rivelano una realtà diversa da quanto ci si potrebbe aspettare.
L’incidenza del lavoro in somministrazione nel nostro Paese è l’1,5%, la media europea è l’1,9%, distante, dalla Germania, il 2,4%. I dipendenti diretti delle Agenzie per il lavoro sono circa 10mila persone, e gli sportelli diffusi sull’intero territorio sono 2500.
Nel 2017 il numero medio mensile di lavoratori impiegati tramite le Agenzie per il Lavoro è pari a 439.373, in aumento del 24,6% sull’anno prima (rilevazioni su base trimestrale).
Le persone che, nel corso del 2017, hanno avuto accesso attraverso le Agenzie per il Lavoro ad almeno un contratto di lavoro dipendente, con la retribuzione prevista dal Ccnl e tutte le tutele garantite dalla legge risultano 702mila. Erano 624.559 nel 2016.
Il 33% dei lavoratori in somministrazione era disoccupato prima di trovare lavoro tramite Agenzia (rilevazioni internazionali della World Employment Confederation). Un lavoratore in somministrazione su tre, dopo aver lavorato con le Agenzie per il Lavoro accede a una occupazione stabile.
Conclusioni, secondo noi. Nonostante la politica si deve misurare con simboli e narrazioni, la lotta alla precarietà non passa attraverso la restrizione dell’unica flessibilità regolata e controllata oggi in vigore nel nostro paese. I temi sono il lavoro povero, il lavoro nero e la ridistribuzione del reddito generato da innovazione e produttività, in una parola la lotta alla disuguaglianza che porta a 5 milioni di poveri e 3 di quasi poveri. Ma per battaglie di questa portata servono interventi di sistema, che stiano nella complessità del mondo di oggi, globale e super connesso. A noi, che ci occupiamo di formazione, viene facile dire che nell’economia della conoscenza quello che conta è la competenza e il capitale umano. Magari ripensando complessivamente il sistema della formazione e dell’istruzione in un sistema coerente di Lifelong Learning, che in Italia, da sempre, stenta a decollare. All’interno di una filiera per le politiche attive del lavoro in cui ciascuno può fare, bene, il suo mestiere.