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20 Dic

La formazione come politica (attiva) per il lavoro

La formazione come politica attiva del lavoro

Il nostro commento alla manovra del Governo Conte

Nella manovra finanziaria del Governo Conte la formazione torna ad essere considerata a tutti gli effetti una misura di politica per il lavoro, uno strumento fondamentale per favorire l’inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro.

Non si è verificato il taglio, da più parti evocato o temuto, delle risorse gestite dai fondi interprofessionali che finanziano la formazione continua agli occupati.

Da quello che ad oggi si può intuire la formazione per i percettori del reddito di cittadinanza sarà finanziata con i fondi aggiuntivi previsti nella manovra.

Si parte dal potenziamento dei Centri per l’impiego.

Del resto non può un Paese come l’Italia, alle prese con tassi di disoccupazione così elevati, tollerare performance tanto negative da parte del servizio pubblico. Allo stesso modo l’idea di mettere in rete le risorse dei soggetti coinvolti nelle politiche per l’occupazione, siano essi pubblici o privati, si conferma essere la sola strada possibile per garantire livelli di prestazioni accettabili su tutto il territorio nazionale.

L’idea di legare il reddito di cittadinanza tanto a percorsi di formazione quanto a percorsi di reinserimento lavorativo rinvia al tema del rapporto fra politiche del lavoro e politiche di coesione all’interno di un sistema integrato per lo sviluppo sia economico sia sociale del Paese.

Negli ultimi anni si è parlato con grande enfasi di politiche per il lavoro, pensando quasi esclusivamente al risultato occupazionale e quasi mai alla qualità della reale opportunità offerta.

Se non c’è lavoro è difficile pensare a politiche per l’occupazione. Occorre quindi stimolare la crescita e poi fare in modo che la crescita generi nuovo lavoro, che non sia lavoro povero o lavoro precario.

Oggi si ricomincia timidamente a parlare di formazione per rendere le persone più “occupabili”, come dicono gli addetti ai lavori, e più in grado di affrontare i cambiamenti.

I numeri della formazione in Italia

La formazione in Italia tuttavia sconta un antico pregiudizio, in parte legato al sistema scolastico del ‘900 ed in parte a situazioni di opacità nella gestione complessiva del sistema, troppo frammentato per essere un motore di crescita del sistema Paese.

La formazione oggi invece è centrale nell’economia di una società basata sulla conoscenza e sul capitale umano, che traduce innovazione in produttività e crescita. Investire in formazione conviene a tutti, alle imprese, ai lavoratori e allo stato che deve porsi l’obiettivo di ridurre livelli di disuguaglianza sociale ed economica divenuti ormai insostenibili.

In Italia il sistema della formazione muove circa 2,5 miliardi di Euro in Italia. Ci sono circa 7000 enti accreditati a livello regionale ed altrettanti enti non accreditati per un numero di addetti superiore a 25mila persone. Gli enti di formazione costituiscono una infrastruttura preziosa nell’attuazione delle politiche per il lavoro e la coesione sociale.

Occorre però alzare l’asta e ripensare un sistema puntando sulla qualità e sull’efficienza, valutando l’impatto sociale degli investimenti e mettendo in rete le risorse di quanti lavorano nel mondo dell’istruzione e delle politiche per la crescita e l’occupazione.

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